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venerdì 21 marzo 2014

ECLISSI TOTALE

L’euro è tutt’altro che irrilevante nel consentire la sopravvivenza del sistema attuale, perché impone continuamente, qualunque sia il grado di austerità di una politica, la soluzione della deflazione salariale e perché costringe il debitore a restare eternamente tale. Ragion per cui uscire dall’euro magari non sarà la soluzione, ma certo ne è condizione sine qua non. Ecco perché  pensate un po’ – c’è gente a sinistra e non sempre gente estremista che ritiene la battaglia contro l’euro essenziale e sacrosanta. Uscire dall’euro è la proposta e partiamo da un presupposto che è quello su cui poggia tutto il discorso che segue. Immergerci in quella che crediamo essere una piscina, per poi scoprire di trovarci in una vasca di piranha, dovrebbe naturalmente indurci a tornare indietro al più presto ma accade anche che la paura e la rassegnazione blocchino testa e muscoli e si rimanga così – inerti – in attesa del terribile ed inevitabile destino. Ugualmente può accadere che, sempre credendo di concederci un bel bagno, ci si trovi nel bel mezzo di una grande pentola d'acqua in ebollizione che avevamo scambiato per le terme di Saturnia o San Casciano. Anche lì la ragione non avrebbe dubbi ma essa di nuovo, resterebbe inibita dalla rassegnazione anzi, in questo caso, l'aumento progressivo della temperatura limiterebbe anche le possibilità fisiche di evacuare la malefica trappola.
Che fare? Uscire. Ovvio. L'incoscienza è restare fermi. Inerti. 
Specifico che, in una precedente nota intitolata "NO", ho già espresso le motivazioni che dolorosamente mi hanno portato e decidere – per la prima volta nella mia vita – a non partecipare a delle pubbliche elezioni, le prossime europee, dopo aver addirittura partecipato, accettando anche la mia candidatura, alle amministrative a Roma ma, a partire dai primi di gennaio fino ad oggi, le condizioni sono decisamente peggiorate dal punto di vista politico-istituzionale e non vi sono, a mio avviso, le condizioni per esercitare questo storico ed importante diritto/dovere. Incosciente dicevo quindi, dopo questa breve parentesi personale, è aspettare il peggio che avanza inesorabile e vedremo più avanti come e perchè, con fatica, coraggio, spirito di gruppo e soprattutto istinto di sopravvivenza: U-sci-re. Coesi e solidali. Come in un esodo dal sapore antico, abbandonare miti e falsi profeti e ricacciare indietro il demone della carestia. Il CimitEuro, come una amica ha definito lo scenario che ci stiamo “inconsciamente” preparando. Oppure – più laico e meno leggendario esempio – esercitare il diritto/dovere di combattere una nuova guerra di liberazione nazionale e che sia esempio e miccia per una sollevazione continentale e mondiale. Non sono chiacchiere. Non vi sono alternative quando si viene colpiti così duramente e si percepisce il danno dei colpi ricevuti, stimando che si potrebbe arrivare al colpo mortale da un momento all'altro. Dico, non vi sono alternative al “vendere cara la pelle”, come John Wayne proclamava sempre al minuto 55 nei peggiori war-movies e old-western americani del dopoguerra, prima di gettare il cuore (ed il cavallo) oltre l'ostacolo. Proviamo a ragionare, con l'ausilio di una materia delicata e infida come l'economia politica. L’Economist che non è certo una webzine marxista-leninista, ha pubblicato all'inizio di quest'anno un grafico che potete apprezzare e che mostra le variazioni del reddito pro-capite, la quantità di PIL (prodotto interno lordo) mediamente posseduta dai cittadini di un determinato stato: un indicatore usato spesso per misurare il benessere della popolazione di un paese – dal 1999 al 2014, cioè dal debutto dell’euro sui mercati finanziari fino ad oggi. Il grafico comprende alcuni Paesi che fanno parte dell’eurozona, altri che non ne fanno parte ma che sono nell’Unione Europea ed altri extra-europei. Il reddito pro-capite è cresciuto ovunque, nonostante la crisi economica e le recessioni, meno che in Italia e ricordo, i dati sono del Fondo Monetario Internazionale.
Uscire dalla moneta unica e riconquistare il diritto al conio nazionale significa, tra le altre cose, non soltanto colpire in modo incisivo la classe dirigente che ci sta massacrando ma soprattutto rende possibile utilizzare strumenti a noi al momento interdetti. Uno tra tutti è quello della “svalutazione della propria moneta”. Strumento che ci raccontano essere una iattura ma che invece, è stato ed è ancora utilizzato dai Paesi con moneta sovrana nazionale, per aumentare le esportazioni, agendo sulla leva della domanda esterna. Ora, avete presente l'importanza del ruolo, l'incisività che potrebbe avere tale strumento, nella ripresa economica di un Paese vocato come sappiamo all'export e al turismo di qualità com'è l'Italia, in deficit commerciale cronico da quindici anni almeno? D'accordo, qui ci dobbiamo capire. Io non posso certamente, nella mia posizione ideologica ed intellettuale – che potete facilmente intuire – prendere in considerazione che so, le analisi di Arnold Harberger, George Stigler o Milton Friedman. Se, come sto facendo, prendo in considerazione obiezioni e critiche a questa “exit-strategy”, lo faccio da economisti ed analisti che, seppure attraverso differenti percorsi e strategie, hanno lavorato e lavorano per quella parte politica che possiamo definire “sinistra”. Non prendiamo queste parole come uno slogan da corteo di piazza ma ragioniamoci su. Anche dopo che in Germania, a settembre dell'anno scorso, la minaccia dell’ingresso del partito euro-scettico AfD alle elezioni tedesche è stato sventato, in Europa le voci contro la moneta unica hanno continuato a farsi sempre più pressanti, sulla base del Manifesto di Solidarietà Europea, sottoscritto da economisti soprattutto dell’eurozona e presentato a Bruxelles già a gennaio del 2013.Secondo le stime di illustri studi di economia come quello di Granville, il declino dell’export tedesco ammonterebbe al 12%, equivalente al 6% di perdita in termini di Pil. Non solo, la Germania ha un surplus del 6,5% di Pil, ben al di sopra del pur alto livello di Cina e Giappone e sappiamo che il Fmi raccomanda invece un surplus non superiore al 4%. La Germania quindi, contribuisce ad uno dei maggiori squilibri dell’economia globale, specialmente nell'eurozona del sud ma questo viene totalmente ignorato dai vertici della Commissione, dalla BCE e dallo stesso FMI. Conta o no – e quanto – a supporto di una prima analisi, seppure sommaria e puramente esplorativa, il fatto che al momento nessuna frazione delle classi dominanti europee, attraverso tutte le agenzie, i media e tutto l'apparato di informazione ad essa legato, non esprima in nessun luogo l'interesse a rompere la macchina “Euro”? Non ovviamente la GerMagna (che come abbiamo visto ci guadagna), non i nostri grandi capitalisti e neanche la classe dirigente italiana (casta) e sud-europea le quali, grazie all'alibi del cosiddetto ”vincolo esterno” sono ormai felicemente accoppiate dentro il crogiolo delle larghe intese nazionali, dispensate dall'emergenza economica (..sic!) dal rendere conto agli elettori del proprio operato. Ora, se le precedenti categorie sono quelle a cui appartieni, alle quali fai riferimento, ambisci magari a tale status oppure le consideri un punto di partenza e/o di arrivo, bene, hai intercettato un documento antagonista e puoi essere fiero della tua operazione di spionaggio ma se al contrario, sei una persona che condivide con me l'avversione alle categorie sopracitate ma conserva dubbi sul prendere una decisa posizione anti-Euro, ascolta. Da parte di economisti ed analisti anti-austerity ma scettici sulla “fuga” dall'Euro, si obietta sovente che: “svalutare ci esporrebbe ad oggi, a incertezze e rischi di gran lunga maggiori di quelli di ieri. Rischi maggiori” – si dice – di quelli che economisti pubblicamente schierati contro l'Euro – come ad esempio Bagnai – sembrano immaginare”. Questo è un punto di analisi ovviamente serio, sulla cui importanza concordo pienamente ma, pur nell’attuale situazione di turbolenza economica mondiale, consapevole che l’uscita non è (in sé) la soluzione definitiva e va considerata come l’apertura di nuovi problemi, una operazione di riconquista della sovranità monetaria comporta conseguenze ed “effetti collaterali” che devono essere assolutamente presi in considerazione. Questo significa infatti che l'abbandono della moneta unica dev'essere accompagnata da soluzioni che affrontino tali problemi, con un programma economico e politico preciso che implichi misure radicali quali la indicizzazione dei salari, il controllo dei prezzi e del movimento dei capitali, nazionalizzazioni e una forte politica industriale; lo sganciamento del nostro Paese dal riferimento preferenziale al capitalismo atlantico/anglosassone, con conseguente apertura a relazioni commerciali e di partenariato con il sud europeo, il mediterraneo, ai brics(t) e non ultima, ad altri Paesi in via di sviluppo e che abbiano progetti e programmi di ispirazione social-democratica vera, se non socialista, capaci di attrarre a sé anche un forte consenso popolare. Non quindi, come temono gli amici analisti di sinistra ma scettici sull'uscita dall'Euro, un semplice ritorno alla nazione ma la creazione di un nuovo spazio internazionale. Un primo passaggio – mi rendo conto – molto radicale e ambizioso e che proprio per questo fatica ad essere addirittura prospettato, proposto, men che meno tentato ma la situazione sociale diverrà insopportabile e questo passaggio, disseminato di trappole, rischi ed incognite, è una svolta storica, la virata decisa attraverso la quale prima o poi dovremo impegnarci, pena l'estinzione a morsi (dei piranha) o la bollitura di cui all'inizio. Nel restare fermi ed inermi. In attesa, tentando di sopravvivere tra una rata del SUV ed un suicidio, non ci sono grandi incognite, tranne sapere se troveremo parcheggio vicino ai carrelli del discount, chi vincerà Sanremo o lo scudetto. C’è piuttosto la certezza di andare verso il completo impoverimento, prima culturale, poi sociale ed economico del Paese e condizioni caste impenetrabili e di schiavitù irreversibile. Un futuro a dir poco raccapricciante ma che, come potremmo dire per l'ambiente e la Terra, possiamo scegliere se cominciare ad affrontarlo e prenderlo di petto subito, inequivocabilmente oppure – vigliaccamente – lasciare che le generazioni future debbano occuparsene senza speranza di riuscire a liberare se stessi ed il pianeta da questa dannata maledizione. A voi la scelta.

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