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sabato 28 dicembre 2013

CGI meno elle - Il presepe, tra pecorine e pecorelle

Nell'era della comunicazione non è una buona idea limitarsi ad esprimere una opinione che non sia accompagnata, se non meglio addirittura preceduta, dallo svolgimento una azione. Ritrovarsi improvvisamente membri della Società dello Spettacolo è il minimo che può accadere a chi cede alla calamita del potere. E nel mal celato tentativo di coprire un percorso ormai contrario alla direzione del proprio declamare, urla ancora più forte i suoi vecchi slogan, privi del benché minimo contenuto. E' ciò che accade al caro LeaderLandini e, a proposito di Società dello Spettacolo, le lucciole per lanterne in questo periodo si chiamano presepi viventi e balle di Natale. Capisco che non è male per chi si sente "al centro" del presepio appostarsi al calduccio delle posizioni bovino-maggioritarie (bue) e equino-politiciste (asino), accompagnato dalla pastorella Camusso e dal suo gregge che a contar tutte le sue pecorine alla Confindustria, più che pecorelle in CGIL, ci si incazza più che addormentarsi.. vero? Purtroppo però la realtà è un'altra e non ci sono santi e  madonne a contraddirla, quindi - forse - è meglio rinfrescare la memoria anche a Giuseppe, povero operaio cornuto e razziato (oltre che mazziato..), e parlare di fatti veri e non di spiriti più o meno santi che ingravidano ignare signorine. Allora, Landini, alla chiusura della tre giorni di Rimini a settembre, ha rassicurato CISL, UIL e Confindustria, sugli accordi di maggio e giugno, sottolineando che al congresso CGIL non ha intenzione di sostenere e/o presentare alcun documento alternativo a quello della Camusso. L’accordo del 28 giugno firmato anche dalla CGIL di Camusso e sul quale Landini si è allineato prevede tra le altre cose che il contratto nazionale può essere modificato da quello aziendale, per esempio.. Allora, tanto per dar voce ad una minoranza che però da dire ne ha, eccome, più di questa melma maggioritaria ed elitaria, ecco qui l'intervento di Sergio Bellavita, tanto per dimostrare che "Il sindacato è un'altra cosa" - come titola il documento alternativo a quello dirigenziale della CGIL al prossimo congresso, rispetto a quello maggioritario che porta le prime firme della coppia scongelata dal presepe, Camusso-(figliol prodigo)Landini.  >>>GUARDA IL VIDEO<<<  

America me senti?

Grazie all’amico e compagno Massimiliano Martelli, riporto alla luce un dettagliato
articolo di Susan George* tradotto all'epoca da F.Sabelli per “Le Monde Diplomatique”, nel settembre del 1996. Uno studio sulla formazione del cosiddetto "pensiero unico" il quale, tracciando una mappa dei complessi rapporti di potere basati soprattutto su donazioni e finanziamenti, attraverso lobbies e fondazioni, tra capitale, neo-liberismo, comunicazione e università, ci riconsegna un perimetro che racchiude anche quello che all'epoca era l'embrione dell'odierna sinistra liberale. Un articolo ormai quasi maggiorenne ma di grande attualità, tranne per un risvolto determinante che, se all'epoca era ancora marginale o meglio, meno evidente, oggi si manifesta in tutta la sua dirompente efficacia. Ad indurre la riflessione è appunto il fatto che se il Capitalismo (economico e finanziario) fa e ha sempre fatto il suo mestiere, la cosa che ha determinato la condizione posta dall'articolo ovvero il "pensiero unico" è stato il progressivo ed inesorabile cedimento sul terreno dei diritti e non solo, da parte della sinistra socialdemocratica, a partire soprattutto dagli anni successivi alla caduta del muro. In Italia una parte (quella numericamente più consistente) dell'ex Partito Comunista Italiano appunto, guidata dalle scelte scellerate del gruppo dirigente, ha avviato, compiuto e ormai concluso, un ciclo di trasformazione liberista, protetto dalle eventuali critiche da anni (circa 20) in cui i suoi elettori erano fatalmente distratti dal fantoccio di Berlusconi. Durante questo lungo periodo di distrazione sociale e volendo tralasciare tutta la vicenda legata alla loggia P2, si sono succeduti studi e modalità di trasversali incontri tematici sfociati nella nascita di fondazioni le quali, se non saranno mastodonticamente finanziate come quelle americane (Ford), riescono a catalizzare finanziamenti pubblici e privati con entità di tutto rispetto (Vedrò).  Come non attribuire allora la colpa della situazione in cui ci si trova, non tanto a "intellettuali" liberisti che fanno esattamente il loro dovere, esercitando un potere mediatico che certo non aveva bisogno dell'aiuto di Repubblica, tanto per fare l'esempio di quello che in questi anni è stato considerato un giornale di sinistra, soltanto perché si è opposto a Mediaset/Mondadori/Berlusconi per meri interessi di bottega, o dell'avallo di economisti, editorialisti, opinionisti, tutti rigorosamente anti-berlusconiani ma al contempo, prodi (Prodi..) difensori di quello che chiamiamo appunto "pensiero unico". Tra questi intellettuali liberisti, uno tra quelli che hanno ricevuto la migliore ospitalità ed un trattamento di particolare riguardo, vi è sicuramente Milton Friedman che Max cita giustamente quando parlai della famigerata "scuola di Chicago". E' in quella Univeristà statunitense infatti che "Milton Uomofritto" ha costruito la propria fama, insegnando l'economia come fosse strategia militare ma, per concludere appunto il mio pensiero, ricordo che in quella università si sono formati molti dei rampolli della classe dirigente e del management odierni (parlo di ministri e sottosegretari tecnici, amministratori delegati e manager di area non berlusconiana), oltre che ovviamente molti rampolli di quella materia informe che si è data come segretario tale Matteo Renzi, l'americano (quasi) a Roma ed il suo “Job Act”.  >>>LEGGI L'ARTICOLO DI SUSAN GEORGE<<< 
* Direttore associato, Transnational Institute, Amsterdam 

martedì 24 dicembre 2013

La legalità è come il Presepe, finta

Non me ne frega un cazzo ma dato che in questo paese e a Roma la legalità è come il presepe, finta e non rispecchia assolutamente la realtà,  vorrei dire due parole su "I MERCATINI DI NATALE" a Roma e la presunta illegalità degli abusivi. Non è gusto solo ciò che la legge consente e non è ingiusto ciò che la legge vieta. La Legge e la Giustizia sono due cose diverse che non sempre coincidono e nella Storia è pieno di esempi in cui si è dovuto derogare alla prima per ristabilire la seconda. Accade infatti che la Legge da una parte persegue e dall'altra protegge allo stesso tempo due entità diverse che fanno la stessa cosa ed è proprio l'esempio che facevo più in alto, di quello schifo di mercato che da anni si vede a piazza Risorgimento (come in mille bancarelle e negozi cosiddetti "regolari") dove i prodotti venduti hanno la stessa provenienza degli abusivi ovvero da un substrato (tu mi capisci in senso botanico) di illegalità e/o ingiustizia come l'assenza di tutela dei bambini e delle condizioni di lavoro (ma Tredicine docet??). Allora il problema non è il razzismo ma, poiché i soldi hanno tutti la stessa puzza e lo stesso colore, è che la Legalità che si compra in base a quanto si versa allo Stato, invece che derivare dalla GIUSTIZIA. La legalità non dovrebbe avere un prezzo ma eticamente, tutelare ed incentivare chi produce e commercializza prodotti sani, possibilmente locali - Ascolta - King Diamond - No present for Christmas - 

lunedì 23 dicembre 2013

Daddy In Cool



Quando ideali e contenuti scompaiono del tutto quel vuoto viene colmato dai dati anagrafici sfoggiati come la soluzione al mal governo. Imperversano così a tutti i livelli, discorsi generazionali di stucchevole enfasi, mentre la crisi economica e culturale incalza ed assume caratteri così decisamente drammatici da far dimenticare l'essenziale, il giovanilismo manovrato dal grande vecchio riesumato al colle, con lo scopo di rinverdire  vecchie ricette all'olio di ricino, sprizza acido cinico e ribelle da tutti i pori e senza risparmiare neanche i Radiohead, twitta a nastro chincaglieria a tutto spiano da scambiare con l'oro del consenso/assenso. Quel tacito e rumoroso consenso privo di ideali che sfonda nelle cabine elettorali ma anche nell'attitudine e nei comportamenti. Ed esso stesso diventa strumento di condivisione e sintonia di linguaggio, usate come strumenti di annientamento della critica sostanziale e sovversiva tipica di chi invece giovane lo è veramente. 

Ascolta Catherine Spaak - L'esercito del surf (1964): 

domenica 22 dicembre 2013

Perchè il socialismo? di Albert Einstein

E’ prudente per chi non sia esperto in materia economica e sociale esprimere opinioni sul problema del socialismo? 
Per un complesso di ragioni penso di sì. 
Consideriamo dapprima la questione dal punto di vista della conoscenza scientifica. Potrebbe sembrare che non vi siano essenziali differenze di metodo tra l’astronomia e l’economia: in entrambi i campi gli scienziati tentano di scoprire leggi generalmente accettabili per un gruppo circoscritto di fenomeni, allo scopo di rendere il più possibile comprensibili le connessioni tra questi stessi fenomeni. Ma in realtà tali differenze di metodo esistono. La scoperta di leggi generali nel campo economico è resa difficile dal fatto che i fenomeni economici risultano spesso influenzati da molti fattori difficilmente valutabili separatamente. Inoltre l’esperienza accumulata dal principio del cosiddetto periodo civile della storia umana è stata, come ben si sa, largamente influenzata e limitata da cause che non sono di natura esclusivamente economica.
Molti dei maggiori Stati, per esempio, dovettero la loro esistenza a conquiste. I conquistatori si stabilirono, giuridicamente ed economicamente, come classe privilegiata nel Paese conquistato. Essi si presero il monopolio della proprietà terriera e formarono un sacerdozio con uomini della loro classe. I preti, avendo il controllo dell’educazione, trasformarono la divisione in classi della società in un’istituzione permanente e crearono un sistema di valori dal quale, da allora in poi, il popolo si lasciò in gran parte inconsciamente guidare nella sua condotta sociale.
Ma la tradizione storica è, per così dire, di ieri; oggi noi abbiamo realmente superato quella che Thorstein Veblen chiamò la “fase predatoria” dello sviluppo umano. I fatti economici osservabili appartengono a quella fase e anche le leggi che noi possiamo ricavare non sono applicabili alle altre fasi. Poiché il vero scopo del socialismo è precisamente di superare e andare al di là della fase predatoria dello sviluppo umano, la scienza economica nelle sue attuali condizioni può gettare ben poca luce sulla società socialista del futuro.
In secondo luogo, il socialismo mira ad un fine etico-sociale. La scienza, viceversa, non può creare fini, e ancormeno imporli agli esseri umani; essa, al massimo, può fornire i mezzi con cui raggiungere certi fini. Questi sono concepiti da persone con alti ideali etici e se essi non sono sterili, ma vitali e forti, sono assunti e portati avanti da quella larga parte dell’umanità che, per metà inconsciamente, determina la lenta evoluzione della società.
Per queste ragioni, noi dovremmo guardarci dal sopravvalutare la scienza e i metodi scientifici quando si tratta di problemi umani; e non dovremmo presumere che gli esperti siano i soli che hanno il diritto di esprimersi su questioni che concernono l’organizzazione della società.
Da un po’ di tempo innumerevoli voci asseriscono che la società sta attraversando una crisi, che la sua stabilità è stata gravemente scossa. Caratteristica di questa situazione è che gli individui si sentano indifferenti e persino ostili al gruppo, sia esso grande o piccolo, cui appartengono. Per illuminare questo concetto, ricorderò un’esperienza personale. Recentemente discutevo con un uomo intelligente e di larghe vedute sulla minaccia di una nuova guerra che, a mio giudizio, porterebbe gravi danni all’esistenza del genere umano, e facevo notare che solo un’organizzazione internazionale potrebbe proteggerci da questo pericolo. Allora il mio interlocutore, con molta calma e freddezza mi disse: “Perché siete così profondamente contrario alla scomparsa della razza umana?”. lo sono sicuro che solo un secolo fa nessuno avrebbe fatto con tanta leggerezza una dichiarazione di questo genere. E’ la dichiarazione di un uomo che si è sforzato di raggiungere il suo equilibrio interno e ha più o meno perduto la speranza di riuscirvi. E’ l’espressione di una penosa solitudine e di un isolamento di cui molti soffrono. Quale ne è il motivo? C’è una via d’uscita?
E’ facile sollevare queste questioni, ma difficile rispondervi con un certo grado di sicurezza. Tenterò tuttavia, come meglio posso, sebbene sappia che i nostri sentimenti e i nostri sforzi siano spesso contraddittori e oscuri e non possano essere espressi in formule semplici e chiare.
L’uomo è, nello stesso tempo, un essere solitario e sociale. Come essere solitario, egli tenta di proteggere la sua esistenza e quella di coloro che gli sono vicini, di soddisfare i suoi desideri personali e di sviluppare le sue innate capacità. Come essere sociale, egli cerca di guadagnarsi la stima e l’affetto degli altri esseri umani, di partecipare alle loro gioie, di confortarli nei loro dolori e di migliorare le loro condizioni di vita.
Solo l’esistenza di questi vari e spesso contraddittori sforzi dà ragione del particolare carattere di un uomo, e le loro speciali combinazioni determinano in quale grado un individuo possa raggiungere un equilibrio profondo e contribuire al benessere della società. E’ possibile che la relativa forza di questi due indirizzi sia in gran parte determinata dall’eredità. Ma la personalità che emerge alla fine è largamente formata dall’ambiente nel quale accade che l’uomo si trovi durante il suo sviluppo, dalla struttura sociale in cui cresce, dalle tradizioni di quella società e dal suo giudizio sui particolari tipi di comportamento. L’astratto concetto di “società” significa per l’essere umano individuale la somma totale dei suoi rapporti diretti e indiretti con i suoi contemporanei e con tutti gli uomini delle precedenti generazioni.
L’individuo è in grado di pensare, sentire, lottare e lavorare da solo; ma è tale la sua dipendenza dalla società, nella sua esistenza fisica, intellettuale ed emotiva, che è impossibile pensare a lui o comprenderlo fuori dalla struttura della società. E’ la “società” che provvede l’uomo del cibo, dei vestiti, della casa, degli strumenti di lavoro, della lingua, delle forme di pensiero e della maggior parte dei contenuti del pensiero; la sua vita è resa possibile dal lavoro e dalle realizzazioni dei molti milioni di uomini, passati e presenti, che si nascondono dietro la piccola parola “società”.
E’ evidente perciò che la dipendenza dell’individuo dalla società è un fatto di natura che non può essere abolito; proprio come nel caso delle formiche e delle api. Tuttavia, mentre l’intero processo della vita delle formiche e delle api è fissato fin nei più piccoli dettagli dai rigidi istinti ereditari, il modello sociale e le relazioni tra gli esseri sociali sono molto variabili e suscettibili di mutamenti. La memoria, la capacità di nuove combinazioni, il dono della comunicazione verbale hanno reso possibili tra gli essere umani sviluppi che non sono dettati da necessità fisiologiche. Tali sviluppi si manifestano in tradizioni, istituzioni e organizzazioni, nella letteratura, nel perfezionamento scientifico e costruttivo, in opere d’arte. Questo spiega come accade che, in un certo senso, l’uomo possa influenzare la propria vita con la sua condotta, e che in quel processo possano avere una parte il pensiero e la volontà consapevoli.
L’uomo acquista dalla nascita, per eredità, una costituzione biologica che dobbiamo considerare inalterabile e fissa, che contiene gli impulsi naturali caratteristici della specie umana. Inoltre, nel corso della sua vita, egli acquista un abito culturale che riceve dalla società per mezzo di un complesso di rapporti e di molte altre specie di influenze. Questo abito culturale, col passare del tempo, è soggetto a mutamento e determina in grado molto elevato le relazioni tra l’individuo e la società. Su questo possono poggiare le loro speranze coloro che lottano per migliorare il destino dell’uomo; gli esseri umani non sono condannati, a causa della loro costituzione biologica, ad annientarsi l’un l’altro o a essere alla mercé di un destino crudele.
Se ci domandiamo come la struttura della società e l’atteggiamento culturale dell’uomo dovrebbero essere modificati al fine di rendere la vita umana quanto più possibile soddisfacente, dobbiamo essere costantemente consci che vi sono certe condizioni che non possono essere modificate. Come ho già detto, la natura biologica dell’uomo non è soggetta a mutamenti, almeno praticamente. Inoltre, gli sviluppi tecnologici e demografici degli ultimi secoli hanno creato condizioni destinate a durare. In popolazioni stabili e di densità relativamente elevata, con i beni indispensabili alla loro esistenza, sono assolutamente necessari un’estrema divisione del lavoro e un sistema produttivo altamente centralizzato. Il tempo, ai nostri occhi così idillico, in cui gli individui o gruppi relativamente piccoli potevano essere completamente autosufficienti, è passato per sempre. E’ appena una lieve esagerazione affermare che il genere umano costituisce fin d’ora una comunità planetaria di produzione e di consumo.
Eccomi giunto al punto in cui mi è possibile indicare brevemente che cosa per me costituisca l’essenza della crisi del nostro tempo. L’individuo è divenuto più che mai consapevole della sua dipendenza dalla società. Questa dipendenza però egli non la sente come positiva, come un legame organico, come un fatto produttivo, ma piuttosto come una minaccia ai suoi diritti naturali o anche alla sua esistenza economica. Inoltre, la sua posizione nella società è tale che gli impulsi egoistici del suo carattere vanno costantemente aumentando, mentre i suoi impulsi sociali, che sono per natura più deboli, vengono di mano in mano deteriorandosi. Tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro posizione nella società, sono danneggiati da questo processo di deterioramento. Inconsciamente prigionieri del loro egoismo, essi si sentono malsicuri, soli e privi dell’ingenua, semplice e non sofisticata gioia della vita. L’uomo può trovare un significato alla vita, breve e pericolosa com’è, solo votandosi alla società.
L’anarchia economica della società capitalistica, quale esiste oggi, è secondo me la vera fonte del male. Vediamo di fronte a noi un’enorme comunità di produttori, i cui membri lottano incessantemente per privarsi reciprocamente dei frutti del loro lavoro collettivo, non con la forza ma, complessivamente, in fedele complicità con gli ordinamenti legali. Sotto questo punto di vista è importante comprendere che i mezzi di produzione -vale a dire tutta la capacità produttiva che è necessaria sia per produrre beni di consumo quanto per produrre capitale addizionale- può essere legalmente, e per la maggior parte dei casi è, proprietà dei singoli individui.
Per semplicità, nella discussione che segue, io chiamerò “lavoratori” tutti coloro che non partecipano alla proprietà dei mezzi di produzione, sebbene ciò non corrisponda all’uso abituale del termine. Il proprietario dei mezzi di produzione è in grado di comperare il potere-lavoro del lavoratore. Usando i mezzi di produzione, il lavoratore produce nuove merci che divengono proprietà del capitalista. Il punto essenziale di questo processo è la relazione tra ciò che il lavoratore produce e la misura in cui viene pagato, misurando entrambe le cose in termini di valore reale. Dal momento che il contratto di lavoro è “libero”, ciò che il lavoratore percepisce è determinato non dal valore delle merci che produce, ma dalle sue esigenze minime e dalla richiesta capitalistica di potere-lavoro, in relazione al numero dei lavoratori che sono in concorrenza tra di loro per i posti di lavoro. E’ importante comprendere che anche in teoria il pagamento del lavoratore non è determinato dal valore del suo prodotto.
Il capitale privato tende a essere concentrato nelle mani di una minoranza, in parte a causa della concorrenza tra i capitalisti e in parte per il fatto che lo sviluppo tecnologico e la crescente divisione del lavoro incoraggiano la formazione di più larghe unità di produzione a spese delle più piccole. Il risultato di questo sviluppo è un’oligarchia del capitale privato, il cui enorme potere non può essere effettivamente arrestato nemmeno da una società politica democraticamente organizzata. Ciò è vero dal momento che i membri dei corpi legislativi sono scelti dai partiti politici, largamente finanziati o altrimenti influenzati dai privati capitalisti che, a tutti gli effetti pratici, separano l’elettorato dalla legislatura.
La conseguenza si è che di fatto i rappresentanti del popolo non proteggono sufficientemente gli interessi degli strati meno privilegiati della popolazione. Inoltre, nelle condizioni esistenti, i capitalisti privati controllano inevitabilmente, in modo diretto o indiretto, le principali fonti d’informazione (stampa, radio, insegnamento). E’ così estremamente difficile, e in realtà nella maggior parte dei casi del tutto impossibile, che il cittadino privato giunga a oggettive conclusioni e a fare un uso intelligente dei suoi diritti politici.
La dominante in un’economia fondata sulla proprietà privata del capitale è caratterizzata da due principi basilari: primo i mezzi di produzione (il capitale) sono posseduti da privati e i proprietari ne dispongono come meglio credono; secondo, il contratto di lavoro è libero. Naturalmente una società capitalistica pura, in questo senso non esiste. In particolare si dovrebbe notare che i lavoratori, attraverso lunghe e dure lotte politiche, sono riusciti ad assicurare per certe loro categorie una forma alquanto migliorata di “libero contratto di lavoro”. Ma, presa nell’insieme, l’economia odierna non differisce dal “puro” capitalismo.
Si produce per il profitto, non già per l’uso. Non esiste alcun provvedimento per garantire che tutti coloro che sono atti e desiderosi di lavorare siano sempre in condizioni di trovare un impiego; un “esercito di disoccupati” esiste quasi in permanenza. Il lavoratore vive nel costante timore di perdere il suo impiego. Poiché i disoccupati e i lavoratori mal retribuiti non rappresentano un mercato vantaggioso, la produzione delle merci per il consumo è limitata, con conseguente grave danno. Il progresso tecnico spesso si risolve in una maggiore disoccupazione, piuttosto che in un alleggerimento del lavoro per tutti. Il movente dell’utile, insieme con la concorrenza tra i capitalisti, è responsabile dell’instabilità nell’accumulazione e nell’utilizzazione del capitale, destinata a portare a crisi sempre più gravi. Una concorrenza illimitata porta a un enorme spreco di lavoro e a quel deterioramento della coscienza sociale degli individui cui ho prima accennato.
Questo avvilimento dell’individuo io lo considero il maggior male del capitalismo. Tutto il nostro sistema educativo ne è danneggiato. Un’attitudine competitiva esagerata viene inculcata allo studente, così condotto, come preparazione alla sua futura carriera, ad adorare il successo.
Sono convinto che vi sia un solo modo per eliminare questi gravi mali: la creazione di una economia socialista, accompagnata da un sistema educativo volto a fini sociali. In una tale economia i mezzi di produzione sono di proprietà della società e vengono utilizzati secondo un piano. Un’economia pianificata che adatti la produzione alle necessità della comunità, distribuirebbe il lavoro tra tutti gli abili al lavoro e garantirebbe i mezzi di sussistenza a ogni uomo, donna e bambino. L’educazione dell’individuo, oltre che incoraggiare le sue innate qualità, dovrebbe proporsi di sviluppare il senso di responsabilità verso i suoi simili, invece dell’esaltazione del potere e del successo che è praticata dalla nostra attuale società.
E’ tuttavia necessario ricordare che un’economia pianificata non è ancora socialismo. Un’economia pianificata come questa può essere accompagnata dal completo asservimento dell’individuo. Il raggiungimento del socialismo richiede la soluzione di alcuni problemi politico-sociali estremamente difficili: come è possibile in vista di una centralizzazione di vasta portata del potere politico ed economico, impedire che la burocrazia divenga potente e prepotente? Come possono essere protetti i diritti dell’individuo ed essere con ciò assicurato un contrappeso democratico alla potenza della burocrazia?


Albert Einstein (da Monthly Review, New York, maggio 1949)

sabato 21 dicembre 2013

Dedicato a chi crede ancora a Babbo Natale

La maggioranza PD vota l'emendamento del  centrodestra  che proroga per un anno una delibera che permette di realizzare nuove edificazioni  prima di aver completato le opere di urbanizzazione, contro la richiesta dell'assessore alla Trasformazione Urbana Caudo di una proroga di soli sei mesi.  Carteinregola scrive al nuovo segretario Renzi, ai deputati e ai senatori, al Segretario della Federazione romana  Cosentino,  ai Presidenti e ai consiglieri dei Municipi,  alle sezioni romane del PD.
Sicuramente il Parlamento ha molte questioni importanti di cui occuparsi, e il Partito Democratico ancora di più,  ma ogni tanto dare un’occhiata a quanto succede nell’Aula Giulio Cesare aiuterebbe molti eletti dal popolo della sinistra (con l’eccezione di quanti arrivano dall’assemblea capitolina, si intende) a capire il profondo scoramento che provano molti cittadini romani che ancora sperano in un qualche cambiamento. Non verso “un mondo migliore”, a cui ormai non crede più nessuno, ma almeno verso il rientro in un  minimo sistema di regole, che  facciano  di Roma una  città degna di non sfigurare davanti alle altre capitali europee.
Cambiamento che, nonostante una certa dose di buona volontà del Sindaco Marino  e dei suoi assessori, non appare condiviso da  buona parte della maggioranza capitolina, che sembra intenzionata a continuare le peggiori tradizioni "bipartisan" delle passate consiliature, senza preoccuparsi  neanche di salvare le apparenze.
E noi di Carteinregola, che abbiamo presidiato per quattro mesi l’aula contro le delibere urbanistiche di Alemanno, saremo costretti a ricominciare daccapo, quantomeno come impotenti testimoni (e, per quanto ci è consentito, volenterosi megafoni) di un  degrado politico  che sembra non toccare mai il fondo.
Ultimo episodio (*), molto indicativo della strada imboccata dal Partito Democratico Capitolino, il 19 dicembre, quando con il voto congiunto maggioranza/opposizioni (esclusi Movimento Cinquestelle**) un pessimo  schema di Convenzione della  precedente amministrazione, che l’assessore alla Trasformazione Urbana Caudo aveva chiesto di prorogare per  soli 6 mesi – il tempo di finire la messa a punto del nuovo schema -  è stato prorogato per  un anno. Così  non solo si allungano i tempi della vigenza dello Schema, che favorisce molto  gli interessi dei costruttori e  molto poco l'interesse della città e dei cittadini, ma si prevede anche la possibilità che  il nuovo Schema, a cui da mesi sta lavorando l'assessorato, non venga approvato, nel qual caso tornerebbe automaticamente in vigore lo Schema ancora precedente, sempre varato da Corsini, con la Delibera 84/2009. E il nuovo Schema dell'Assessore Caudo dovrà essere votato  da quegli stessi consiglieri capitolini che con 27 voti favorevoli (17 del PD, 7 del centrodestra, 3 misti) hanno approvato il prolungamento e il potenziale rinnovo del vecchio Schema.
Ed entrando nel merito dello Schema prorogato, che era stato approvato con un “regime transitorio” nel 2011 -  anche allora con un voto trasversale - basti dire che ridimensiona notevolmente, in nome della crisi edilizia, le garanzie  riguardanti non soltanto la realizzazione delle opere di urbanizzazione secondarie, cioè quelle opere pubbliche (scuole, servizi, verde, parcheggi) che consentono la vivibilità di un nuovo insediamento edilizio,  ma anche le stesse opere di urbanizzazione primarie (reti idriche, fognature, illuminazione pubblica, strade,  aree a verde) che i privati dovrebbero realizzare prima dell’ultimazione delle costruzioni residenziali o di altre destinazioni di loro esclusivo interesse  (e Roma è già piena di quartieri dormitorio dove i servizi  pubblici  “da eseguire a cura dei privati” non sono mai stati realizzati..).
Ma soprattutto è devastante il “sottotesto" della votazione: l’Assessore chiede alla sua maggioranza di non prorogare oltre sei mesi lo Schema, assicurando che il nuovo Schema, che torna a tutelare l’interesse pubblico, è praticamente pronto, e il PD vota compatto (tutti i consiglieri presenti!) un emendamento dell’opposizione che va nella direzione opposta, a favore degli interessi privati.
A Roma, ormai, a un Partito Democratico che si faccia interprete degli interessi della collettività e non di quelli di sempre, ci crede solo più chi crede ancora a Babbo Natale…
[ma questa lettera è in realtà un accorato appello a quel pezzo di PD che, come noi, vuole ancora testardamente  credere che un cambiamento sia possibile]
(*) Fin dalle prime settimane dopo l'insediamento della nuova Giunta, alcuni  esponenti del partito di maggioranza hanno lanciato dalle testate dei più seguiti  quotidiani cittadini critiche assai pesanti verso il Sindaco, verso la Giunta e soprattutto  verso l'Assessore alla Trasformazione Urbana, spesso nell'occhio del ciclone  in quanto deve gestire la pesante eredità urbanistica della  precedente (e delle precedenti) amministrazione, fatta di varianti e deroghe al Piano Regolatore Generale, Accordi di programma su misura dei privati, compensazioni  edificatorie "in aria" che non si sa dove e in che misura finiranno di atterrare, a cui si deve aggiungere  la crisi economica di una  città che ha sempre e solo puntato sul mattone. E le critiche piovono dopo che  tutti i  partiti attualmente al governo della città - ma non solo - durante la campagna elettorale hanno sbandierato ai quattro venti lo "stop al consumo di suolo", "la città sostenibile", "la rigenerazione urbana" etc etc etc ... (> vedi anche la posizione dell'attuale  Commissione urbanistica nella vicenda di Casal Giudeo nel nostro post Vola il cemento )
(**) Gli esponenti presenti di SEL non hanno partecipato al voto, ma non hanno votato contro l'emendamento del centrodestra. Carteinregola scriverà una lettera anche a loro.

martedì 17 dicembre 2013

Il Chili, Bachelet e le ricettine veloci di Ransie la Strega

Vince Michelle Bachelet anche se l'astensionismo raggiunge vette da record ma il fatto che la strada del cambiamento in Cile passi per le donne non è un caso ed è senz'altro una ulteriore buona notizia da cui prendere spunto per una riflessione politica. Il Cile non è l'Italia, la Bachelet non è Renzi che a sua volta non è neanche una donna ma al massimo Ransie la Strega. Non solo, la differenza tra Italia e Cile la fa anche e soprattutto l'Europa, la cieca fedeltà alla NATO e all'interno, la deriva (non più neo ma oramai vetero-liberista) del centro-sinistra da noi. Ransie (Renzi) infatti ha l'unica missione (da Strega appunto) di rovinare con le sue "ricettine veloci" anche ciò che rimane del partito socialista europeo e utilizzarne la distorsione politica per "americanizzare" l'Europa e l'Italia in senso costituzionale (bipolarismo assoluto, presidenzialismo, etc.). Inoltre, tornando a Renzi quale neo-segretario del PD in Italia, non in nome ma per conto dei suoi mandanti (Marchionne e Confindustria), dopo aver avallato e promosso (e già promesso..) riforme del lavoro in stile Monti, Letta, Fornero & Co. e che finiranno anche di spaccare la CGIL, perderà di nuovo le elezioni quando invece le destre italiane, raccogliendo anche i frutti di questa lettiana e renziana semina, arriveranno ad oltre il 40% (Lega, Forza Italia, Nuovo Centro Destra e La Destra) poichè ovviamente, si riuniranno di nuovo dopo aver preso indietro, oltre quelli di Alfano e Monti, anche i voti poulisti che Grillo (e ultimamente i forconi di Mafia e Casa Pound) hanno tenuto in caldo per loro (Casaleggio docet). Riascolteremo allora le lacrime di coccodrillo e la solita opposizione fantoccio di PD, Repubblica e compagnia bella. Altro che Cile e arditi parallelismi.. Non è affatto “certa sinistra estrema italiana" come qualcuno la definisce, ad essere poco pragmatica e troppo radicale anzi, una politica sindacale univoca ed inequivocabile, posizioni più nette e chiare sui grandi temi del lavoro, dell'Europa dei cittadini, sull'ambiente e la cultura, ritengo gioverebbero non solo alla causa delle solite tartassate e vituperate classi sociali ma anche in termini di consenso, alla coagulazione di quegli elettori perduti tra grillismo e astensionismo, soprattutto tra i movimenti (acqua pubblica, diritto alla casa, usb e scuola per esempio). Ecco dove potremmo e secondo me dovremmo recuperare credito e fiducia, non cercando addizioni di simboli ed etichette che (come accaduto con la Federazione della Sinistra e malamente con Rivoluzione Civile) servirebbero soltanto a sommare gli "zerovirgola". Per incidere serve una spinta dal basso che bisogna essere in grado di rappresentare, attraverso programmi e scelte chiare e comprensibili che anche le altre sigle a sx del PD devono sottoscrivere e contribuire a sostenere, assumendosene la responsabilità dell'accettazione o del rifiuto di fronte ai loro elettori.

domenica 8 dicembre 2013

Aspettando Godot, nel posto sbagliato

Delinda Cecchelli - olio su tela - "Il Dubbio" - 2003
Un partito che non esprime una posizione netta sul tema del rapporto con i sindacati è destinato al dubbio ineluttabile, alla lacerazione perpetua. Un partito comunista che si rispetti, dovrebbe avere una propria linea - chiara ed unitaria - sui temi del lavoro e i compagni dovrebbero portarla chiaramente dentro il sindacato, non viceversa. Il fatto invece è che nel nostro caso non è il partito che è dentro il sindacato ma esattamente e inopinatamente il contrario. Questa purtroppo è l'amara verità di cui avevo già parlato al nostro congresso. Io, da parte mia, rimango dell'opinione che è meglio sbattere forte la porta in faccia alla Camusso, piuttosto che restare in questa ambiguità ma forse sono troppo drastico. Sarei anche disponibile a credere in quei compagni che la CGIL la vorrebbero cambiare davvero ma purtroppo (e sottolineo purtroppo), mi sento nella ragione quando vedo in diretta quello che oggi è di nuovo avvenuto. Il IX Congresso di Rifondazione Comunista a Perugia respinge un ordine del giorno che chiede una valutazione positiva sul documento alternativo da presentare al congresso della CGIL, dove maggioritaria è la linea concertativa della Camusso. Allora? Come ne usciamo? Come si fa a non scoraggiarsi? Che cosa raccontiamo ai nostri compagni lavoratori e ai compagni nelle USB che ci hanno abbandonato proprio per queste ragioni? Ne usciamo con la solita ambigua storia fantozziana (e non in senso cinematografico..) della libertà di azione e coscienza dei compagni nei sindacati? No, non è più tempo e se ne accorgeranno presto anche loro ormai. Me lo auguro a questo punto. I lavoratori purtroppo lo stanno già pagando il dazio di questa ambiguità e dell'appiattimento a effetto domino della del PD a destra, SEL sul PD, la CGIL sul PD e SEL e i compagni di Rifondazione dentro la FIOM e la CGIL che lottano contro i mulini a vento. Oggi siamo già in post-democrazia e se noi avessimo pensato a costruire un programma e una forza politica davvero alternativa al centro-sinistra, la classe lavoratrice ed il sindacalismo di base come le USB, oggi avrebbero almeno una rappresentanza anche nelle istituzioni e una sponda politica per rivendicare con più forza i diritti dei lavoratori. La stantìa e superata altalena invece, che già appariva desueta, oggi ancora di più con le corde logore non ha spazi credibili e rischia di farci rimanere tutti con il culo per terra, chiusa com'è da una parte dal minoritarismo ottuso che si ostina a credere di poter invertire la rotta dentro la CGIL e la FIOM, dall'altra dalla assoluta lontananza dalle istanze dei più precari e bistrattati che la CGIL non intende più difendere per ragioni di "realpolitik". Ciò che traspare infatti fuori da questi schemi, agli occhi delle persone interessate, è nella migliore delle ipotesi una sorta di complesso di Edipo che impedisce di condannare di netto la posizione maggioritaria della CGIL e della Camusso, perchè non si vuole realmente uscire dallo spazio ideologico della chioccia del centrosinistra oppure, nella peggiore delle ipotesi sempre agli occhi di chi subisce e valuta certe politiche che non si vogliono mollare quelle poltroncine che ormai non hanno più nessun valore, neanche simbolico. Bella figura di merda, dopo essersi lacerati in un congresso di tre giorni che pure di carne al fuoco ne aveva.. ma riusciamo sempre a farla bruciare o peggio, a farla pappare dai cani, mentre magari discutiamo di lana caprina o peggio di nomi e candidature. 

venerdì 6 dicembre 2013

Volemose bene, volemose bene un cazzo


E' stucchevole e a dir poco nauseante, come milioni e milioni di persone si assomiglino tutte nella liturgia dell'elogio al coraggio, non importa se poi sono insieme a quei razzisti che "però i rom", oppure quegli altri che per governare serve la "realpolitik" o quegli altri ancora che "non assumiamo italiane sennò ci fanno la vertenza" e quelli lì che "beh però il dottore ci ha dato una mano a far entrare il ragazzo nei carabinieri" ..e poi spara a Giuliani, quelli che “la zoccola se l’è meritato, guarda come andava in giro..” e quelli che oggi più di ieri, governano Paesi senza il voto dei loro Popoli e permettono anzi, incoraggiano e sollecitano tutto questo. Tutti insieme a masturbarsi a vicenda con le migliori parole, gli aforismi e le poesie dell’eroe, estrapolate facendo molta attenzione a non schierarsi mai. Siamo tutti cronisti, trascrittori di una storia che si scrive da sola col grande coraggio di uno, senza bisogno del piccolo coraggio di ognuno. E soprattutto cronisti di ogni estrazione ma senza nessuna distinzione. La liturgia del r.i.p. di cui sopra, ha una sua partitura che è quella falsa della celebrazione delle irripetibili gesta dell’eroe unico e solo e non di una piazza, di un Popolo e una società che si rivolta. No, un solo eroe invece. Che è così grande e inumano. Irripetibile. Ma non c’è nessuno di questi così profondi ammiratori del trionfo dell’etica che si domandi da che parte stare oggi, nel 2013 quasi 14, quando accade che un settantenne, dopo averlo investito per errore, ammazza di botte un insegnante negro invece di fare il cid e chiamare un’ambulanza? E gli altri erano lì, al bar, a prendere appunti. Quando esistono ancora zone franche dove di lavoro si muore e non si vive, dove se sei cinese muori bruciato, se sei sardo annegato? Da Taranto alla Campania, tutto è giustificato dal fatto che dobbiamo tenere sotto controllo lo spread, le relazioni con la mafia, magari facendoci anche due risatine al telefono. I grandi valori storici della Sinistra sono sintetizzati, compressi edulcorati e raccolti, pronti per essere tumulati alle primarie dei buoni, in una fragile ampolla con la vocetta registrata di quel poveraccio di Civati e porco dio mi fermo qui. Altro che pace. Volemose bene, volemose bene un cazzo.  La straordinaria capacità di Nelson Mandela di smantellare l’apartheid, di costruire un processo di pace e un nuovo paese è comprensibile davvero solo ricordando quel che da mille coccodrilli in malafede viene oggi negato: che l’apartheid fu sconfitta e che la pace di oggi fu costruita col sangue di quei combattenti. Mandela è stato un combattente quando è stato necessario combattere per poter diventare un uomo di pace da una posizione di forza. Negare questo è come ucciderlo di nuovo. E per sempre. Invece no. noi abbiamo capito tutto e tutto è sotto controllo. Oggi siamo liberi. Liberi de che? Di chiudere entrambi gli occhi, turarci bocca e naso e far finta che tutto vada bene? Far finta che è finita. Ci ha già pensato Mandela, bontà sua e prima di lui il Che, Garibaldi, Pippo Pluto e sto cazzo. Noi siamo a posto e facciamo le larghe intese e, se anche se così non fosse e a posto non mi ci sento per niente, io chi cazzo sono? Mandela? No, quindi mi faccio i cazzi miei e ringrazio i tecnici, le commissioni e il commissario se ho ancora quei 20 euro a settimana - solati al mio vicino più debole e coglione - da spendere in veleno alla despar, meno cara della farmacia. Accontentiamoci di puerili piccoli privilegi in HD invece di riprenderci tutti insieme almeno qualcuno dei diritti che abbiamo perduto anno dopo anno, tanto tra un po' le trasmissioni riprenderanno, inforcheremo gli occhialini 3D e attenderemo il prossimo raduno liturgico Altro che lungimirante saggezza dell'evoluto "muzungu" occidentale, leggetevi il bell’articolo di Gennaro Carotenuto: “Nelson Mandela e la battaglia della memoria” e vedete un po’ se quel giorno, sui campi di battaglia del Sud dell’Angola, i bianchi sudafricani si sono dati un bel governo tecnico che ha risolto tutti i guai e sono diventati improvvisamente tutti buoni, oppure sono stati militarmente s c o n f i t t i e uccisi da Mandela che scoprirete, non era affatto solo. Come non lo siamo noi, nessuno di noi.