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mercoledì 5 novembre 2014

- N.E.T. Nuove Entità Teatrali -

- N.E.T. Nuove Entità Teatrali -
 

Sei spettacoli in sei serate a novembre
Rassegna per misurare la temperatura del teatro di oggi
 
@ M.A.T.T.A. Pescara 

Via Gran Sasso, 51
 
INGRESSO: 10 Euro, posto unico

giovedì 25 settembre 2014

giovedì 10 luglio 2014

Fratture interne a "Die Linke": pronta a sacrificare la lotta per la pace, contro la NATO e ad allearsi con l'SPD

AC | solidarite-internationale-pcf.over-blog.net
Traduzione per resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
30/06/2014
Ex vetrina del Partito della Sinistra Europea (PSE), la Die Linke (La Sinistra) ha il piombo sulle ali. Non solo non incarna un'alternativa alla socialdemocrazia tradizionale, ma la sua svolta a destra è sempre più evidente, anche sull'elemento identitario della lotta per la pace.
Al di là dei comunisti, per i progressisti, per i militanti tedeschi della sinistra, la lotta per la pace è essenziale in un paese dove militarismo e imperialismo hanno sempre accompagnato le peggiori forme di dominio del capitale, di cui il nazismo è stato l'apice.
Die Linke ha liquidato la maggior parte della eredità del movimento comunista in Germania in favore di una concezione istituzionale, riformista, pronta ad alleanze con la socialdemocrazia, all'adesione alla UE capitalista. Ma almeno la lotta contro la guerra, contro l'imperialismo, sembrava rimanere come elemento identitario.
Invece le resistenze della "Die Linke" cessano agli squilli di tromba del governo tedesco che con una svolta militarista, moltiplica gli interventi della Bundeswehr (esercito tedesco) in Africa, e si attiva anche sul fronte orientale ucraino.
Certo, la Linke non ha una posizione del tutto omogenea su questa questione identitaria. Emergono distinte frazioni, legate principalmente ai suoi deputati, in un partito a vocazione parlamentare.
Un deputato della Linke al centro della riformulazione della politica estera militarista tedesca
Il giovane lupo Stefan Liebich fa parte degli attuali "riformatori": l'ala destra favorevole a un riorientamento della politica della Linke verso l'accompagnamento della svolta militarista della RFT. Deputato, è membro della Commissione per gli affari esteri del Bundestag.
Liebich è anche un membro di spicco di varie ONG specializzate in "aiuti allo sviluppo", nelle "missioni umanitarie", come l'ONG "Help", indirettamente legata al governo tedesco, ma anche all'"Atlantik-Brücke" (Atlantic Bridge), ONG che promuove lo sviluppo dell'atlantismo attraverso scambi tra le élite americane e tedesche.
Due settimane fa, Liebich, ha partecipato con il deputato verde Jurgen Trittin e la SPD Hildegaard Buhlman ad una riunione per stabilire "le prospettive di una politica comune per la pace" da cui, secondo Liebich, è scaturita la "plausibilità" di un accordo tra i tre partiti, in vista di un futuro accordo di governo.
Liebich aveva già contribuito, nell'autunno, alla redazione di un testo "Politica estera di sinistra: prospettive di riforma", avanzando l'idea nella sinistra di "nuove responsabilità internazionali" per la Germania, con il sostegno agli "interventi umanitari" all'estero e il rafforzamento del "partenariato transatlantico" con gli Stati Uniti.
Ancora in gennaio, Liebich ha firmato un documento con la deputata verde Brugger, incoraggiando lo sviluppo delle missioni militari tedesche all'estero "sotto mandato internazionale" in un'ottica "umanitaria". Umanitaria a colpi di bombe!
Liebich aveva anche sostenuto il dispiegamento della Bundeswehr nel Mediterraneo nel mese di aprile.
Una parte dei deputati della Linke pronti a sostenere una missione della Bundeswehr all'estero, in Siria!
I "riformatori" non si accontentano di parlare. Nel mese di aprile hanno sdoganato un tabù della Linke: la questione del sostegno degli interventi della Bundeswehr all'estero.
Negli ultimi mesi, l'esercito tedesco ha accelerato l'attuazione della sua Weltpolitik, la sua politica globale, arrivando a sostenere la Francia in Mali e in Centro Africa.
Ha inoltre dispiegato una missione militare nel Mediterraneo. Una fregata con a bordo 300 soldati per effettuare il disarmo delle armi chimiche in Siria, in collaborazione con gli Stati Uniti.
Con il falso pretesto della minaccia delle "armi chimiche" e della necessità dell'intervento umanitario, Gregor Gysi - uno dei "riformatori", leader del Partito della Sinistra Europea (PSE) - aveva tentato il colpo di forza rinnegando uno dei principi fondativi della Linke: "Nessuna missione all'estero".
Il sostegno dichiarato alle manovre imperialiste in Siria, alla politica aggressiva della Germania non ha ottenuto il sostegno della maggioranza dei membri della Die Linke: 35 hanno votato contro, 18 si sono astenuti e cinque hanno votato per questa missione all'estero, rivelando una frattura alla testa del partito.
Questa non è la prima volta che il partito si divide sulla questione della pace.
Sul sostegno alla "Freedom Flotilla" di solidarietà con Gaza nel giugno 2011, diversi deputati della Linke sostenevano attivamente l'iniziativa mentre Gysi, e una decisa minoranza parlamentare, la stigmatizzavano come una campagna antisemita e violenta.
La direzione della Linke aveva allora proposto una mozione per vietare la partecipazione degli eletti nella Linke alla "Freedom Flotilla" per Gaza, in nome della lotta contro l'"antisemitismo". Complessivamente 19 deputati avevano rifiutato di obbedire a tale risoluzione, mentre 57 accettarono.
Ricordiamo che Gysi aveva, al 60° anniversario dello Stato di Israele, dichiarato: "L'antisionismo non può, o almeno non può più essere una posizione difendibile per la sinistra in generale e per il partito della Linke in particolare.
Nel marzo 2012, la Linke ha persino osato sostenere le elezioni presidenziali di Beate Klarsfeld, amico personale di Nicolas Sarkozy, noto per la sua zelante difesa del sionismo, nella versione di destra più estrema, più brutalmente colonialista.
Divisioni sull'Ucraina: i "riformisti" e Gysi in difficoltà
Le ambiguità deliberate, le smaccate negazioni, i calcoli sottili usati per l'Ucraina dai "riformisti" non hanno raggiunto il loro obiettivi.
Infatti, in una prima fase, la direzione centrista della Linke con la penna dei centristi (di destra), Bernd Reixinger, Katja Kipping e Gregor Gysi, ha sottoscritto una dichiarazione il 2 marzo che si attestava pressoché sulla posizione adottata dal PSE.
Fingendo di porre sullo stesso piano i due belligeranti, lanciavano nel documento un appello al governo tedesco e ai dirigenti europei della UE, che hanno "un ruolo diplomatico significativo da giocare", invocando il governo di Kiev a una "inversione", senza far riferimento alla massiccia presenza di fascisti alla sua testa.
Questa posizione è stata subito contestata da diversi deputati, fedeli a certe posizioni storiche della sinistra sulla pace, in particolare per opera di Sevim Dagdelen e Sarah Wagenknecht, che hanno puntato il dito sulla presenza fascista nel governo ucraino, entrando in aspro conflitto con i Verdi parlamentari. Questa rivolta della frazione parlamentare della Linke da "sinistra" ha costretto il capogruppo Gregor Gysi, a correggere il tiro, con mozioni parlamentari e interventi mediatici, maggiormente critici sulla politica occidentale e sugli sviluppi del governo ucraino.
Il suo intervento in Parlamento il 13 giugno, si è rivelato molto più equilibrato, critico sul ruolo dell'UE e della NATO, anche se si rammaricava, con ispirazione gorbacheviana, di non includere Russia e Ucraina nella "casa comune europea" (sic!).
Questo non ha impedito a Gysi, assieme alla direzione bifronte Rexinger/Kipping, di prendere le distanze pubblicamente dal membro della Linke, Sevim Dagdelen che aveva osato il 4 giugno denunciare con forza l'ipocrisia dei verdi e del socialdemocratico Ministro degli Esteri.
Poi ha fatto una citazione forte, prendendo a prestito Bertolt Brecht: "Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente". Perché se Gysi è pronto a tutto per preservare l'unità del partito, è tuttavia una linea di "riforma dell'UE" e della "NATO" in una prospettiva di governo "rosso-rosa-verde" a cui aspira per il 2017.
Riformare la NATO? La nuova moda della Linke!
Negli ultimi mesi, Gregor Gysi ha iniziato la sua opera di rottamazione nel partito per smussare le tradizionali posizioni antimperialiste della sinistra tedesca.
L'esito della lotta ha portato alla ridefinizione del programma per le elezioni europee. Due sono gli obiettivi raggiunti da Gysi: (1) cancellare la rivendicazione di uscita della Germania dalla NATO; (2) rimuovere l'identificazione della UE come un "blocco militarista, neoliberista e fondamentalmente antidemocratico".
Queste due posizioni presumibilmente sostenute dalla sinistra del partito sono state effettivamente cancellate dal programma del partito senza sollevare una vera lotta interna, rivelando un sostanziale consenso dietro il dibattito pubblico.
Ricordiamo che Gregor Gysi era stato preso con le mani nel sacco cinque anni fa, quando Wikileaks ha rivelato i suoi colloqui segreti con l'ambasciatore americano a Berlino nel 2009, durante i quali lo rassicurava sul carattere innocuo degli slogan della Linke, sacrificando il ritiro concreto della Germania dalla NATO con l'astratto e irrealistico scioglimento della NATO.
Nell'ottobre 2013, il dirigente del partito Katja Kipping si era spinta ancora più lontano in pieno scandalo intercettazioni degli Stati Uniti. Aveva denunciato l'atteggiamento degli Stati Uniti che "danneggia irreparabilmente l'architettura di sicurezza nella regione del patto Atlantico".
Deplorava inoltre il fatto che la Merkel avesse realizzato troppo tardi che "gli Stati Uniti non vogliono un'Europa forte" (Sic) appellandosi a una trasformazione della NATO in un "partenariato trans-atlantico per la pace".
L'alleanza con la SPD nel 2017: l'obiettivo dichiarato dei "riformisti" della Linke
Questa è l'idea che sta dietro le manovre di Gysi volte a riposizionare la politica estera nei confronti del consenso militarista dominante: preparare una coalizione di "sinistra plurale", "rosa-rosso-verde" per il 2017.
Secondo gli osservatori, l'ostacolo principale rimane la politica estera tedesca: tra SPD e Verdi che favoriscono una politica di piena adesione alla NATO, all'UE, alle missioni all'estero, al riarmo tedesco, e la Linke, con una presunta posizione critica verso questa politica.
Gysi, in una recente intervista su Deutschlandfunk, ha insistito su questo punto: "Vogliamo un accordo sulla politica estera, come sulla difesa, con i nostri partner di sinistra".
A tal fine, Gysi è pronto a vedere miraggi: "Penso che la SPD abbia compreso che gli interventi in Afghanistan, Jugoslavia, Iraq, Libia non siano state delle risposte, anzi hanno invece esacerbato la tensione".
Una considerazione che ha dell'incredibile, visto che il ministro degli Esteri Steinmeier, della SPD, sta conducendo la politica estera più aggressiva dell'ultimo mezzo secolo: la SPD nella "grande coalizione" con la CDU, sostiene gli interventi in Mali, Siria, Centrafrica!
Ma in tutte queste interviste, sorge inevitabilmente la domanda sulla coalizione di sinistra nel 2017. Gysi risponde sempre prudente ma per lui: "non saranno in politica estera i fattori di maggior disaccordo".
Un modo intelligente per dire che per trovare un accordo, sarà sufficiente un passo reciproco (in fin fine, un passo della Linke verso il consenso atlantista, bellicista!). Tutti gli occhi sono ormai rivolti alla Turingia dove l'appuntamento elettorale delle regionali di autunno potrebbe vedere l'elezione di un presidente della "Die Linke", Bodo Ramelow, con i voti della SPD e dei Verdi. Una prefigurazione della "sinistra plurale" per il 2017.
Secondo Gysi, questo fatto rappresenta "un momento importante per la sinistra in Germania". Il leader verde locale, Katrin Goring-Eckardt, da un lato, ha accolto con favore il lavoro di Gysi, rallegrandosi di un "partito che ha liquidato l'eredità del SED [Partito socialista unificato tedesco]" per diventare un "vero partito socialdemocratico". Dall'altro, ha espresso preoccupazione per la posizione di alcuni membri della Linke, ostacolo per una coalizione sia a livello regionale che nazionale.
Va ricordato che la SPD attualmente governa Turingia... con i conservatori della CDU!
Si comprendono i giochi di equilibrio di Gysi, che si vede già Ministro degli Esteri della Germania dopo essere stato burocrate e dissidente della DDR, aggiustando la linea a seconda dell'opposizione interna, lanciando palloncini di prova per far convergere la sua politica estera verso le posizioni europeiste, militariste e atlantiste di SPD e Verdi.
Ma il popolo tedesco merita molto di più che i suoi calcoli politici, ha bisogno di una organizzazione politica rivoluzionaria, una organizzazione di lotta che dica chiaro e forte: mai più guerre, mai più rinascita del militarismo e dell'imperialismo tedesco!

martedì 8 luglio 2014

TUTTI CONTRO TUTTI? NO, CONTRO UNO..

I preparativi per la Settimana dell’Odio erano in pieno fervore e l’intero personale dei Ministeri prestava la sua opera volontaria al di fuori dell’orario di lavoro. Si dovevano organizzare cortei, riunioni, parate militari, conferenze, apprestare pannelli didascalici in cera, preparare spettacoli cinematografici e programmi televisivi. Si dovevano montare tribune, costruire effigi, coniare slogan, comporre canti, far circolare notizie false, contraffare fotografie. Al Reparto Finzione era stato disposto che la squadra di Julia interrompesse la produzione di romanzi per stampare in tutta fretta una serie di libelli sulle atrocità commesse dal nemico.“ [1984, George Orwell]
Stavolta il capro espiatorio, rituale ebraico (sic!) è Marino che non sarò certo io a difendere.. ma il PD romano, regista dietro le quinte dell'operazione "fuoco amico sul sindaco", ne esce ancora una volta indenne. Tra scaltri attori e figuranti paraculi in malafede e ingenui e superficiali coreuti da strapazzo.. i palazzinari ed i poteri forti del commercio e della mala, se la caveranno anche stavolta senza un graffio. Le mummie della cultura che si rivoltano contro le piramidi della politica. Scontro tra tétani ospitato sul palcoscenico de la Repubblica (che non è quella di Platone) ma in realtà è un tiro a segno ad un bersaglio immobile, una levata di scudi (anzi di frecce) che ricorda tanto la Hate Week di orwelliana memoria. La Settimana dell'Odio, nel 1984 immaginato da Orwell nel 1948, consisteva infatti in una settimana di raduni, convegni, riunioni ed altri eventi pubblici organizzati in tutta l'Oceania con lo scopo di incrementare l'odio dei prolet e dei membri del Partito contro i nemici interni. Ora, lungi da me l'idea di voler togliere dai guai l'elefante marino in oggetto, siamo proprio certi che il problema sia (tutto) lì? E' preoccupante che la disoccupazione preoccupi meno delle occupazioni, parlando del Valle, dell'Angelo Mai (citando le più in vista) ma non è che si sta cercando di strumentalizzare delle lotte autentiche e giuste e che queste ultime sottovalutino in tal senso l'abbraccio mortale di personaggi come Lavia e Placido che nelle torbide acque del limbo tra potere e cultura hanno sguazzato per decenni e che probabilmente, vi si continuano a nutrire indisturbati, crescendo a dismisura come pesci siluro nel lago di Balaton? Allora, da brave persone come Medici e soprattutto dai militanti e dagli occupanti attivi m'aspetterei, se non altro per maggiore completezza ed incisività, un attacco anche e soprattutto ai veri mandanti (il PD romano lo conosciamo da anni), più che esclusivamente e direttamente al sindaco che ha senz'altro le sue colpe che non sono poche, a cominciare dalla sua scelta di farsi candidare da chi di candido ha solo il collo della camicia. Ma chi si dice sinistra "radicale”, invece di fare i "selfie" davanti ad improbabili bar storici che di storico non hanno nemmeno una bottiglia, avessero sostenuto l'alternativa, invece che 'sta mummia, forse qualcosa sarebbe andata meglio. Ogni riferimento a SEL NON è puramente casuale.

giovedì 12 giugno 2014

13-14-15 GIUGNO - DELIBERIAMO ROMA

13-14-15 GIUGNO - DELIBERIAMO ROMA
Tre anni fa più di 26 milioni di italiani dicevano sì al referendum per l’acqua pubblica, un risultato di democrazia che i precedenti governi hanno provato a cancellare, e che oggi è nuovamente sotto attacco. A tre anni da quella vittoria, la coalizione sociale di Deliberiamo Roma - e le sue quattro delibere di iniziativa popolare per la scuola pubblica, l'uso sociale del patrimonio immobiliare abbandonato, la ripubblicizzazione di Acea e la finanza sociale - promuove tre giornate di sensibilizzazione e mobilitazione per la difesa dei beni comuni e per la valorizzazione della politica intesa come partecipazione e attivazione della cittadinanza per decidere sul destino dei propri territori. In tre giorni, oltre 40 piazze, mercati e ville in tutti i municipi saranno invasi da banchetti e iniziative per la raccolta firme. Accanto alle iniziative territoriali, ce ne sarà una cittadina: sabato 14 giugno dalle ore 20.30 vi invitamo in Piazza Sauli a Garbatella con cena sociale, presentazione delle delibere e concerto della Banda Jorona, a seguire djset Rotas, Gigi selecta outta Baracca Sound (ingresso libero). Liberiamo Roma dalla speculazione e dalle privatizzazioni, utilizzando le sue molteplici risorse e migliorare le condizioni di vita di tutti i suoi abitanti.


Maggiori info su www.deliberiamoroma.org


IL CALENDARIO DELLE INIZIATIVE E I LUOGHI DEI BANCHETTI DOVE FIRMARE:


Venerdì 13 GIUGNO
- Deliberiamo al mercato, Via Marino Mazzacurati, Orario 9-13,00
- Deliberiamo in piazza, Piazza San Giovanni, Orario 10-13
- Deliberiamo in piazza, Piazza della Marranella, Orario 10-13
- Deliberiamo Cinecittà, Centro commerciale Cinecittà 2, Orario 9-13
- Notte bianca alla Sapienza, Università La Sapienza, Orario 19-1,00
- Festa Rossa a Montagnola, Parco del Caravaggio - Viale delle Accademie, Orario 19-22,30
- RockAfreak, Via di Porta Labicana 24, Ore 20,30-23
- Porte aperte alle Ca7, Serate di cena e musica, Via delle Sette Chiese 186, Orario 20-24
- Giardini di piazza Vittorio, Tutto il mondo è paese, Orario 18-22


Sabato 14 GIUGNO
- Deliberiamo al mercato, Acilia, Via Gino Bonichi, Orario 9-13
- Deliberiamo al mercato, Isola Pedonale del Pigneto, Orario 9-14
- Deliberiamo in piazza, Piazza Cicetti, Orario 9-13
- Deliberiamo in piazza, Piazza delle Iris, Orario 10-13
- Deliberiamo al mercato, Via Alvaro Corrado, Orario 10-13
- Deliberiamo al mercato, P.zza degli Euganei, Orario 10-13
- Deliberiamo al mercato, Val Melaina, Via Conti, Orario 10.30-13
- Deliberiamo al mercato, Garbatella, Via Circonvallazione Ostiense, Orario 10.30-13
- Deliberiamo al mercato, Banchetto all’ingresso del Mercato Trionfale, Orario 10-13
- Deliberiamo al mercato, Labaro, Pianna Nimis, Orario 9,30-13,30
- Deliberiamo al mercato, Via Alberto Da Giussano, Orario 10-13
- Deliberiamo Cinecittà, Centro commerciale Cinecittà 2, Orario 9-13
- Deliberiamo in piazza, Piazza Vittorio, Orario 10-13
- Deliberiamo il metrò, Stazione della Metropolitana, P.zza Conca d’Oro, Orario 10-13
- Banchetto alla Posta, Ufficio postale, Viale Adriatico, Orario 10.30-13
- Tutto il mondo è paese, Giardini di piazza Vittorio, Orario 18-23
- Festa Rossa a Montagnola, Parco del Caravaggio - Viale delle Accademie, Orario 19-22,30
- Deliberiamo il Cinema America, Arena del Cinema America Occupato, Piazza San Cosimato, Orario 19-1.00
- Deliberiamo il Teatro Valle Occupato, Via del Teatro Valle, Ore 19-1.00
- Deliberiamo in piazza, Ricomincio da tre…, Piazza Damiano Sauli, Orario 20-23


DOMENICA 15 GIUGNO
- Deliberiamo al mercato, Via Conti, Orario 10-14
- Deliberiamo al mercato, Via Alvaro Corrado, Orario 10-14
- Deliberiamo al mercato, P.zza degli Euganei, Orario 10-14
- Deliberiamo al mercato, Conca D’Oro, Via di Conca D’Oro, Orario 10.30-13.30
- Deliberiamo al mercato, Mercatino di Lucha Y Siesta, Orario 10-19
- Banchetto alle Poste, Poste Italiane, Viale Adriatico, Orario 10-14
- Deliberiamo il metrò, Stazione della Metropolitana, P.zza Conca d’Oro, Orario 10-14
- San Tommaso Market V edizione, Via San Tommaso D’Aquino 11/A, Orario 12- 20
- Tutto il mondo è paese, Giardini di Piazza Vittorio, Orario 18-23
- Festa Rossa a Montagnola, Parco del Caravaggio - Viale delle Accademie, Orario 19-22,30
- Villa Pamphili, ingresso San Pancrazio, Largo 3 Giugno 1849, Orario 17-20

sabato 7 giugno 2014

Evviva, brindiamo! Abbiamo perso!

...e nemmeno dignitosamente. La faccia e le elezioni. Evviva i grandi propositi di unità della sinistra espressi dalla Lista e che continuano ad affascinare e stuzzicare le fantasie di qualcuno che vorrebbe addirittura farne delle case. C'eravamo tanto Amato ma.. tanto per cominciare, alla fine girano due petizioni: una chiede che la “compagna” Spinelli rinunci al seggio come aveva solennemente promesso, l'altra chiede di mandarla a Strasburgo, forse perché evidentemente la sinistra non può fare a meno del suo liberalismo chic o forse perché il “tanto peggio, tanto meglio” inizia a strutturarsi seriamente anche dalle nostre parti. A me interessa poco, avevo già molti dubbi sulla estemporanea e verticistica natura della Lista, immaginando anche stavolta che questa litanìa sull'unità delle sinistre avrebbe finito per unire i vertici dividendo la base. Stessa pratica, stesse dinamiche a tutti i livelli. Non è colpa dell'astensionismo o delle divisioni, mali che permangono a causa dell'ambizione delle residuali élite di questa specie di sinistra a tenersi aggrappate a poltrone e potere, piccoli o grandi che siano, se il raggiungimento striminzito del quorum d'ingresso rappresenta, al di là dei festeggiamenti e dei manifesti entusiasmi, un ulteriore flessione elettorale del 35% rispetto a cinque anni fa. Colpa del dissolversi di quella buona pratica che si chiama “elaborazione politica”, sormontata ormai da una melassa demagogica che ha fatto (e continua a far) filtrare soltanto discorsi generici e slogan tali così scontati, da essere adottati in varia misura ovvio, da tutte le forze in competizione. Per Cinque Stelle e Lega, per Fratelli d'Italia, il PD e Forza Italia, fino addirittura a Scelta Civica, il coro è pressoché unanime: l'austerity è diventato il nemico comune. Così la Lista è finita nel buio dell'anonimato politico, prima che identitario. Più che dell'ennesimo errore, il risultato elettorale, tanto più marginale quanto più sonoramente festeggiato, è sintomo dello stato confusionale in cui versa la Sinistra tutta ma peggio ancora quella che molti, in preda ad un delirio, più che ad un desiderio di rappresentanza, ostinatamente continuano a chiamare sinistra radicale. Forse che l'aggettivo “radicale” è di pannelliana memoria, deriva dal ruolo ormai consolidato della base di raccogliere firme per qualsiasi cosa, onde poi scomparire nel limbo dei referendum e delle liste più o meno civiche, a-partitiche, post-ideologiche, rosa, fucsia, violette, etc. E' l'effetto aspirina, la base di Rifondazione che si fa un gran culo per dare il principio attivo al bicchier d'acqua il quale, a giochi fatti, ad effervescenza elettorale conclusa, torna ad esere trasparente ed incolore. Il desiderio di rappresentanza esiste eccome certo. Diritto di cittadinanza. Perché allora allinearsi con quella retorica che – ad uso e consumo capitalista e liberista – maldestramente lo taccia di nazionalismo e populismo? Perché accodarsi al coro di chi ne svaluta la portata politica? Merita maggior gloria forse questa forma di subdolo filo-europeismo, camuffato per i palati più esigenti da internazionalismo, funzionale solo al capitale finanziario o nel migliore dei casi ad una forma di imperialismo europeo, sempre e comunque subordinato a quello USA? Questo appiattimento, non è reso evidente per esempio, dalla posizione supina ed embedded, della stampa e delle forze politiche tutte sull'Ucraina, la Siria, la Libia, la Palestina, il Venezuela, la Nord Corea, l'Iran? Ad un occhio critico ed intelligente, con una una minima conoscenza del funzionamento delle istituzioni continentali ed i meccanismi della Ue, dovrebbe infine esser chiaro, come allo stato attuale, qualunque opportunità di cambiamento può immaginarsi soltanto attraverso gli Stati nazionali e non certo all'interno delle stesse istituzioni europee che di fatto negano alla radice qualsiasi possibilità di espressione della volontà popolare. Figuriamoci se, con le differenze preesistenti tra i popoli europei, più quelle che le politiche economiche hanno acuito (alla faccia dell'europeismo di facciata), possiamo verosimilmente aspettarci una unità delle classi subalterne attorno ad un progetto politico comune. Chiediamoci infatti perché, qualunque sia il tono, lievemente critico o benevolo verso tali istituzioni, che sia detto il bene o il male, secondo i media istituzionali e le principali testate giornalistiche italiane e continentali, sono sempre le istituzioni europee a negare o concedere cambiamenti di rotta, a consolidare e dettare le riforme istituzionali, a rilanciare o a frenare le politiche economiche. La Commissione Europea (e non il Parlamento eletto) con l'imposizione ai Popoli (non) sovrani di accordi tra Stati membri, presentati con grande enfasi europeista, pompose e costosissime strette di mano tra primi ministri non eletti, avvita e strangola le economie locali in una crisi irreversibile con disoccupazione ai massimi storici e concessioni funzionali sempre agli stessi beneficiari: i grandi investitori finanziari privati. La BCE con le manovre farsa di Draghi, fa il gioco della propaganda EUROpeista, sia in Italia che in Germania. Da noi dipinto come superMario (originali sic!), il baluardo italiano nel cuore del territorio della cattiva e nemica BundesBank e ai tedeschi, raccontato come il guastafeste mangia-spaghetti di Francoforte, la piccola e rognosa piattola italiana tra i coglioni, freno alla totale egemonia continentale germanica, capro espiatorio per le politiche economiche tedesche al suo interno (vedi mini-job e politiche sulla immigrazione). SuperMario quindi, è funzionale ad entrambi i (finti) contendenti, sia sul piano nazional-campanilista (Italia vs Germania) sia su quello pseudo-politico bipartisan/bipolarista (PPE/PSE). Le sue operazioni infatti, sono annunciate ogni volta da noi, solidali e devoti paesani, come “storiche” e “salvifiche” ma Draghi, essendo come tutti i suoi onorevoli colleghi, prima banchiere e poi (forse) italiano, le misure di cui sopra, come l'ennesima recente riduzione del tasso d'interesse, le vara per permettere alle banche di usufruire dell'abbassamento dei tassi e gettarsi a capofitto su redditizie speculazioni e scommettere sul debito degli Stati come il nostro, altro che iniezioni di liquidità, come una banca centrale dovrebbe fare. Mai e poi mai, le seppur fittizie luci in fondo al tunnel, vengono attribuite ad un governo nazionale. Le uniche constatazioni che la stampa e i media riportano sono i commenti su chi e come fa bene o male i compiti. La confusione regna sovrana e on si va lontano in questo modo. Evitando, di mettere in crisi la governance italiana che si adagia completamente sui poteri forti continentali visibili e soprattutto invisibili, viene scambiata per politically correct e tutti in coro a gridare allo scandalo mediatico guardando il dito e mai la luna capitalista. Evidente questo, anche dallo scandalo con cui è stato accolto il dialogo tra Grillo e Farage. L'unica ragione vera per cui la sinistra dovrebbe guardare con estrema diffidenza a Farage e all'accordo eventuale con i grillini consiste nel fatto che il leader inglese è un convinto ultraliberista, fautore delle regole universali del profitto e del mercato. Ma questa è politica e di politica non si deve parlare. La retorica gestisce le tesi e la democrazia millantata è il cavallo di troia della dittatura liberista.

domenica 4 maggio 2014

A Sud

Per entrare nel merito della faccenda occorre - come premessa - ripercorrere brevemente la storia recente dell’Argentina. Circa quindici anni fa, guidato dal FMI, il governo decide di ancorare la valuta nazionale al dollaro per affrontare l’inflazione e per il Paese sudamericano fu l’inizio della rovina. Il cambio venne fissato 1 ad 1 ovvero ogni dollaro USA veniva scambiato per un peso argentino e la banca centrale argentina fu costretta a mantenere nelle proprie casse riserve in dollari pari al valore della quantità di pesos in circolazione nel Paese. Il sistema riuscì a contenere l'inflazione della moneta ma il nuovo cambio fisso rese talmente convenienti le importazioni che la produzione subì un perentorio arresto. L’Argentina andò incontro ad una vera e propria de-industrializzazione con conseguente drammatica disoccupazione. Nel frattempo il debito pubblico continuava ad aumentare e peggio ancora, gli interessi passivi erano di gran lunga superiori a ciò che il Paese non riusciva più a produrre. Cosa faceva il governo per farvi fronte? Faceva quello che i dettami liberisti prevedono in questi casi: privatizzava. Privatizzava, vendeva, svendeva e con il flusso di denaro dall'estero ripagava prestiti e debito. Finché non ci fu più niente da vendere. FTAA, acronimo di Free trade areas of America, si chiamava il progetto. ALCA in spagnolo. Era finanziato dal governo Bush e mirava ad abbattere ogni barriera fra stati delle americhe, con l'evidente scopo di favorire i commerci Usa e fare dell'America latina una fabbrica a basso costo. Fu allora che, con la produzione e la crescita ferme, scoppiò la crisi più nera. Il PIL diminuì del 4% e il paese entrò in recessione. Per arginare il fenomeno della corsa al prelevamento agli sportelli il governo decise di applicare una serie di misure che congelavano i conti bancari e rendevano possibili solo piccoli prelievi. Questa ed altre misure ottennero l’effetto di esasperare i cittadini che scesero in piazza per protesta. La polizia reagiva spesso con violenza e l'escalation culminò sul finire del 2001, quando il presidente dichiarò lo stato d'emergenza. Il 20 ed il 21 dicembre in Palza de Mayo – la piazza principale di Buenos Aires – gli scontri furono violentissimi. La polizia sparò sulla folla uccidendo circa quaranta persone ma la protesta non si fermò. E’ proprio allora, col Paese scosso ed il presidente in fuga che si iniziano a porre le basi per una nuova Argentina e, partendo dalla prima decisione inevitabile: il default, il nuovo governo ad interim dichiara l'insolvenza su circa l'80 per cento del debito sovrano argentino, per un totale di 132 miliardi di dollari. Subito dopo verrà abolita anche la convertibilità a cambio fisso con il dollaro ed il peso andrà incontro ad una forte svalutazione. Inizialmente gli effetti furono devastanti con il 60% dei cittadini finiti al di sotto della soglia di povertà nel 2002. Fu un passaggio doloroso ma inevitabile ed è da quel punto in poi che l'Argentina trovò la forza e prese la spinta per ripartire. Alla guida del paese fu eletto Kirchner, un ex giovane peonista, organizzazione studentesca perseguitata e repressa nel sangue dalla dittatura militare del 1976. Durante il suo governo, e quello successivo della moglie Cristina Fernández, l'Argentina mise in atto politiche economiche di stampo nettamente diverso da quelle degli ultimi anni che sotto l'egira della finanza globale – l'FMI su tutti - avevano contribuito a smantellare lo stato sociale e generato la crisi. La moneta argentina, debole per via dell’abolizione della convertibilità ma sull'onda della ricrescita, favoriva la ripresa delle esportazioni ed il governo non esitava a stampare moneta per finanziare ed investire sulla ripresa economica, riattivando i circuiti di previdenza sociale devastati da anni di neo-liberismo. Molte funzioni e servizi furono re-pubblicizzati: dall'acqua, all'elettricità, all'istruzione e la sanità. Nel 2006, un anno dopo l’accordo con il Brasile di Lula, determinante per il fallimento del piano ALCA, l’Argentina che dal 2004 era tornata a crescere a tassi record del 10% annui, finì di onorare il proprio prestito con lo strozzino FMI e decise di non contrarne più di nuovi. Oggi l'Argentina non è il paradiso. E’ un paese sovrano, che cresce con tassi fra i più elevati al mondo e lo fa aumentando le garanzie sociali, i servizi statali, i diritti dei propri cittadini. Sono riconosciuti i matrimoni omosessuali, la libertà d'informazione è garantita attraverso apposite leggi che impediscono i monopoli ed il rispetto dei diritti umani è ritenuto uno dei principi fondamentali della Repubblica. Alcune volte (anzi direi spesso), ho letto e ascoltato i politici nostrani, gli stessi che ci hanno portato allo stato attuale, anche e soprattutto i "tecnici", così come i recentissimi rottamatori, fenomeni delle larghe intese, raccontare che se non staremo attenti a tirare per bene la cinghia nei prossimi anni (meno pubblico, meno servizi, etc.) "rischiamo" di "finire" come l'Argentina. Le cose strane sono due: la prima è che l'Argentina sta meglio di noi (ecco il motivo della premessa), dopo aver fatto esattamente il contrario di quello che lorsignori ci propongono qui (anche se dire "impongono" sarebbe più giusto); la seconda cosa strana è che se volessero veramente spaventarci, dovrebbero dire invece: "finiremo come il Messico", sì, proprio quel Messico che invece (purtroppo) dopo il brutale assassinio del candidato presidenziale Luis Donaldo Colosio, ucciso 20 anni fa durante la sua campagna elettorale, ha imboccato deciso la strada opposta a quella dell’Argentina ovvero:: liberismo sfrenato, de-regolamentazione a favore ovviamente dei forti poteri economici, legati a doppio filo con la criminalità organizzata e i narcotrafficanti, agganciando soprattutto la propria moneta al dollaro USA. Il risultato? Una corruzione che ha contagiato profondamente tutte le aree, da quella legislativa alle forze dell’ordine e l’esercito, per non parlare degli appalti pubblici e la svendita di tutto il patrimonio. A me ricorda qualcosa ma non aggiungo nulla. Vi invito soltanto a fare delle personali ricerche e scoprirete come si vive oggi in Argentina e come invece in Messico si muore, 20.000 volte l'anno solo di violenza. Non è casuale che abbia voluto prendere come esempi questi due grandi Paesi del centro e del sud America, paragonandoli all’area mediterranea della UE, così come non è casuale che le due situazioni, quella tra USA e gli altri Stati del continente americano e quella della Germania nella UE con i Paesi mediterranei si assomiglino. Dove, da una parte la necessità dell’economia forte di espandersi per mantenere alti i profitti finanziari “dopando” le economie limitrofe del sud e “drogando” la propria moneta, attraverso la convertibilità alla pari delle monete ha come strumento l’ALCA, da noi invece, in Europa si chiama EURO. Esiste però, come abbiamo visto in Argentina, un modo per uscire dalla crisi senza passare per la troika, l'austerità e gli interessi dei "pochi", piuttosto attraverso uno Stato forte che garantisca benessere non a 100 ma a milioni di famiglie e cittadini, stampi la propria moneta nazionale per finanziare servizi e ricerca che sono fondamentali per una ripresa economica che sia strutturale, per distribuire lavoro e benessere. Certo, non in questa Europa, in cui l'emissione di denaro è affidata ad un manipolo di banchieri, molti dei quali addirittura capi in qualche caso, generalmente membri di governi e parlamenti nazionali, cui interessano i tassi di cambio dell'euro con il dollaro e lo spread, non certo il benessere degli cittadini. La BCE è l'organo decisionale non eletto, in un’Europa senza uno straccio di  democrazia e senza alcuna politica sociale condivisa. 

lunedì 28 aprile 2014

AFGHVANITY (af)FAIR (da Osama a Obama)

Parigi, Madrid? 
No. Anni '70. 
Repubblica Democratica dell'Afghanistan. 
Con all'epoca il PDPA al governo popolare comunista di Noor Mohammed Taraki. 
Eh già. 
Il PDPA in quegli anni della rivoluzione popolare in Afghanistan, mise in atto un programma che prevedeva riforma agraria, ridistribuzione delle terre a 200mila famiglie di contadini, cosa che favorì la riconversione dall'oppio all'agro-alimentare e zoo-tecnico ed influì notevolmente sulla fertilizzazione del terreno mediante la differenziazione delle colture, migliorando appunto le condizioni ecologiche oltre che umane. Venne introdotta l'abrogazione della decima dovuta ai latifondisti e dell'usura ed i prezzi dei beni di prima necessità furono calmierati e bloccati. I servizi sociali statalizzati e garantiti a tutti, uomini e donne, venne riconosciuto il diritto di voto alle donne ed i sindacati furono legalizzati. Si istituì il divieto dei matrimoni forzati, la sostituzione delle leggi tradizionali e religiose con quelle laiche e marxiste dello Stato e vi fu la messa al bando dei tribunali tribali. 
Insomma tutte cose di cui come vedremo gli "alleati atlantici", prima hanno favorito il ritorno e poi fino ancora oggi, con la retorica dei soldati caduti, l'esportazione di democrazia e le missioni di "Peace Keeping", ci racconteranno anni dopo di voler combattere e debellare. 
Ma andiamo avanti. Per gradi. 
Dicevamo, via la barba per gli uomini ed il burqa per le donne, rivoluzione culturale e di costume (vedi foto), mentre le bambine poterono finalmente andare a scuola con i loro coetanei bambini e non furono più oggetto di scambio economico nei matrimoni combinati tra clan e famiglie. 
Poi come al solito i guastafeste. 
Nel 1979 fu Carter, il 3 luglio di quell'anno a firmare la prima direttiva per l'organizzazione di aiuti bellici ed economici segreti ai mujaheddin afgani. In pratica la CIA creò la rete internazionale di tutti i paesi arabi islamisti per rifornire i mujaheddin di soldi, armi e volontari per la guerra santa contro il governo popolare comunista insediato. Base delle operazioni fu il Pakistan, dove inoltre venivano costruiti sia i campi di addestramento che i centri di reclutamento dei martiri e soldati di Allah. 
E' opportuno aprire una breve parentesi per ricordare anche un fatto non trascurabile ovvero che buona parte dell'operazione che sto raccontando, fu e probabilmente lo è stata ancora per molti anni, finanziata con la riconversione agricola del famigerato papavero da oppio (Papaver somniferum) e ovviamente con il commercio clandestino di oppio afghano. Guarda un po' infatti, nel decennio 1980/1990, nei Paesi occidentali e quindi anche in Italia, registriamo un notevole incremento di consumo di oppiacei (e anche purtroppo di tossicodipendenti da oppiacei) da parte delle generazioni di 20/30 anni e, parallelamente al decisivo (e sanguinoso) passaggio dalla mafia tradizionale all'acquisizione del controllo da parte della criminalità organizzata del traffico di droga, una certa mite e cauta ma generalizzata tolleranza che persone nate negli anni '70, me compreso, potranno tranquillamente testimoniare. Chiusa parentesi. 
A capo della guerriglia anti-governativa in Afghanistan, su consiglio guarda un po', del Pakistan, fu posto un vero galantuomo, colui che Reagan ed i suoi coristi, ci avrebbero più tardi descritto come un martire della libertà del popolo. Bene, costui era tale Gulbuddin Hekmatyar, noto per la naturalezza con la quale, utilizzando dell'acido cloridrico, sfigurava le donne che a suo dire non erano in linea con i precetti islamici. I mujaheddin afgani di Hekmatyar divennero immediatamente una potente forza militare, distinguendosi in efferatezze e crudeltà, attraverso pratiche di tortura e di uccisione che prevedevano un lento scuoiamento vivo dei nemici, amputazioni di dita, naso, orecchie e genitali. Taraki fece ciò che in quel momento poteva fare, chiese aiuto all'Urss, ma cercando in ogni modo di evitare la guerra civile. Fu la premessa dell'invasione sovietica dell'Afghanistan ma la vera svolta - tragica e  definitiva - arrivò nel settembre 1979, con l'uccisione di Taraki ad opera del suo vice primo ministro Hafizullah Amin, il quale salì al potere. 
Visto il passato statunitense di Amin, l'ambiguità del personaggio e le reiterate scelte politiche autolesioniste, soprattutto l'omicidio di Taraki, l'Urss chiamata in causa dall'assassinato Taraki ritenne di aver davanti un uomo della CIA e infatti, il 24 dicembre del 1979 l'esercito sovietico ricevette l'ordine di invadere l'Afghanistan e tre giorni dopo entrò nella capitale Kabul. Qui l'Armata Rossa attaccò il palazzo presidenziale, uccise Amin sostituendolo con Babrak Karmal, già vicepresidente di Taraki. 
Nel frattempo in USA, col passaggio dall'amministrazione democratica di Jimmy Carter, a quella repubblicana di Ronald Reagan, si alzò il livello dello scontro e i mujaheddin che combattevano per la presa del potere in Afghanistan, ai danni del precedente governo socialista, vennero puntualmente dipinti dalla stampa e dai media propagandati quali: "combattenti per la libertà", come appunto accennavo prima.
Ed eccolo il nostro uomo nel mirino: Osama bin Laden era uno dei principali organizzatori e finanziatori dei mujaheddin; il suo Maktab-Al-Khadamat (MAK, Ufficio d'Ordine) incanalava verso l'Afghanistan denaro, armi e combattenti musulmani da tutto il mondo, con l'assistenza ed il supporto dei governi americano, pakistano e saudita. Nel 1988 bin Laden abbandonò il MAK insieme ad alcuni dei suoi membri più militanti per formare al-Qāʿida, con lo scopo di espandere la lotta di resistenza anti-sovietica e trasformarla in un movimento fondamentalista islamico mondiale. Continuarono dal 1986 fino al 1992 i massicci aiuti ai mujaheddin da parte della CIA e dell'Arabia Saudita ma dopo ciò che abbiamo detto e con l'URSS in procinto di sgretolarsi ed abbandonare il campo in Afghanistan, è fin troppo facile immaginare dove finissero le risorse. Dopo poco infatti, grazie al crollo dell'Unione Sovietica nel 1992, Abdul Rashid Dostum si ribellò e si alleò con Ahmad Shah Massoud per prendere il controllo di Kabul e proclamare la Repubblica Islamica dell'Afghanistan. 
Il neonato Afghanistan islamico diventerà teatro di una lunga guerra civile tra i diversi gruppi di mujaheddin per il controllo della capitale Kabul. USA e alleati allora, tentano il colpaccio definitivo puntando su una nuova fazione armata e si affidano - udite udite - al mullah pashtun Mohammed Omar, guida del Movimento di studenti islamici (già, proprio loro, i cosiddetti "talebani"), una (al tempo) piccola milizia integralista di studenti coranici. Nel 1996 i talebani - trasformati in esercito dai servizi segreti pakistani con armi statunitensi e soldi sauditi - conquistano Kabul e rovesciano il governo del Paese. Presidente diviene ovviamente Mohammed Omar (mullah Omar) che con i talebani controlla 3/4 del territorio dell'Afghanistan. Entro la fine del 1998 i talebani prendono il controllo del Paese ed instaurano un regime teocratico islamista, basato su un'interpretazione fondamentalista della Shari'a. Il Parlamento ed ogni altro ente o organo elettivo perdono tutto il loro potere e viene vietato ogni diritto e ruolo sociale alla donna in quanto femmina (comprese quindi le minori e le bambine). Le notizie cominciano ad uscire dal Paese ed il mondo comincia a farsi più di qualche domanda. Bene. 
Ricorderete allora ad un certo punto, la notizia della distruzione delle ultra-millenarie statue dei Buddha da parte appunto dell'esercito talebano e che fu il primo segnale a livello mediatico internazionale, del cambio di atteggiamento degli USA nei confronti della loro "creatura". 
Il mondo allora "scoprì" di avere un nemico antipatico in un Paese sconosciuto ai più. 
L'Afghanistan dei terribili Taleban
E' successo in sud-America, in Jugoslavia e ancora in Kosovo, come in Iraq. Accaduto dopo anche in Siria e così in Libia. 
Proviamo a fare mente locale (o meglio, globale), e riprendiamo il finale del discorso. 
Il nuovo regime del mullah Omar, nato e cresciuto con il determinante appoggio della CIA, oltre che dei paesi islamici fondamentalisti, soprattutto Pakistan ed Emirati Arabi Uniti, è quello che oggi, soprattutto dopo gli stranoti attentati dell'11 settembre 2001, ci dicono di combattere: Lo stesso che già alla fine degli anni '90 e fino all'inizio del nuovo millennio, cioè meno di quindici anni fa, creava tutte le condizioni perché l'Afghanistan ed il Pakistan confinante, diventassero il covo dello shaykh saudita, il "super-ricercato" Osama bin Laden, quale base per la sua rete terroristica, la famigerata rete di al-Qāʿida. 
A voi le conclusioni, anche sulla attuale situazione in Ucraina. 

sabato 26 aprile 2014

BREVE STORIA DI TAGLIA (da Napolitano a Napolitano)

Due mesi dopo l'iscrizione di Giorgio Napolitano al GUF, i giovani universitari fascisti, la situazione futura si delineava già molto bene e c'era già chi - facendo il doppio gioco - voleva liberarsi del capro espiatorio Mussolini e insieme e soprattutto del pericolo rappresentato dalla crescente presa di coscienza e forza dei lavoratori italiani e non solo. Lo scopo di questa classe dirigente politica e degli industriali voltagabbana era ovviamente quello di cambiare per non cambiare nulla. Era necessario apprestarsi a saltare sul carro buono, tenendo però quello che il fascismo filo-nazista da essi fino ad allora foraggiato, aveva lasciato in dote e trasferendolo nel nuovo fascismo-atlantico che di lì a poco, nel nostro Paese avrebbe avuto la meglio. Il 14 dicembre 1942 infatti, la rivista americana "Life" scriveva“La netta tendenza in seno al regime fascista è di liberarsi di Mussolini e dei filotedeschi, ma di conservare il sistema. Oggi questa è l’idea dei grandi industriali italiani, condotti, a quanto viene riferito, da Ciano, dal conte Volpi, dal senatore Pirelli. In altre parole, un cambiamento del fascismo protedesco in un fascismo proalleati. I gerarchi fascisti sono molto impressionati dal fortunato voltafaccia di Darlan da Vichy verso gli alleati”. Il ritardo causato dalla famigerata linea gotica e la sanguinaria rivalsa tedesca e proprio per questo, una Resistenza che aveva avuto (paradossalmente e suo malgrado) più tempo a disposizione del previsto per creare anche una coscienza critica e perfino rivoluzionaria, complicarono un po' il piano di trasformismo del capitalismo italiano, capeggiato dai vari Pirelli & Co. L'occasione per disarcionare Mussolini dallo stivale non arrivò dal sofferto fronte, anche se pure lì le cose non è che andassero bene per il duce/imperatore dato che, inopinatamente rispetto agli slogan roboanti, le reni le ha spezzate la Grecia all'Italia. E di brutto. Per non parlare di Fronte Orientale e del nord Africa. Si concretizzò invece il cambio della guardia, pochi mesi dopo con gli scioperi del marzo del 1943  in nord Italia che esplosero quando il paese era ormai stremato ed al quarto anno di guerra, abbattendo il duce ma non il suo regime. E tantomeno il sistema di sfruttamento. Non è un caso infatti, che le azioni repressive più cruente nei confronti dei lavoratori in lotta, avvennero proprio nel periodo iniziale del governo Badoglio (mi ricorda D'Alema e le repressioni di piazza a Roma e non solo, con chi manifestava indignandosi contro il bombardamento della ex Jugoslavia nel 1999 ma vabbè..). Il resto è storia, una "pace keynesiana", fatta di concessioni e relazioni "promiscue" tra capitale, vertici politici e sindacali durata trent'anni, grazie anche al muro ancora in piedi e l'equilibrio della "guerra fredda". E poi via, all'oggi, verso la nuova Europa dove in tutti i Paesi, il capitale aggredisce quelle istituzioni che per decenni hanno controllato e protetto, a garantire "pace sociale e progresso liberista". Non servono più, quelle parvenze di istituzioni democratiche anzi, sono gli ultimi fastidiosi ostacoli al trionfo del profitto sul lavoro e lo sviluppo solidale della società. Via quindi al nuovo assalto massone alla democrazia e ai diritti, specialmente del lavoro a partire dagli ultimi vent'anni, come dimostrano tutti gli studi economici più autorevoli. Dico, la cacciata di B. (dopo averlo assecondato per un ventennio in tutte le sue minchiate, in cambio del fronte anti-comunista) e l'infilata a forza del terzetto Monti, Letta, Renzi non vi ricordano qualcosa, adesso?  
Buona Resistenza, altro che Liberazione...

sabato 19 aprile 2014

E' UNA CAGATA PAZZESCA!

Dopo la solita sfacchinata per raccogliere senza l'aiuto di nessuno, nemmeno di quei compagnoni di SEL, le necessarie firme per presentare la lista Tachipirtsipras ® è arrivato l'ordine dalla regia. "Niente volantini e manifesti con il simbolo di Rifondazione e nessuna bandiera alla manifestazione del 17".
Tra un po' ci chiederanno di travestirci da hari krishna o come i bonzi di Battiato, per an
dare non alla corte dell'Imperatore ma a distribuire volantini apartitici nelle comuni a idromassaggio dove svernano i capolista in attesa dell'estrazione del bingo per l'unica (molto forse) poltrona assegnata. Credo che Paolo Villaggio dovrebbe intervenire d'urgenza, per restituire con un Fantozzi 2.0 dignità ai militanti di Rifondazione.

Non so se ve l'hanno detto ma in Ucraina abbiamo fatto TUTTI la SOLITA figura di merda

Tutti perchè - purtroppo per noi - facciamo parte di quel gruppo di Popoli rappresentati dalla peggiore oligarchia. Il motivo? Si è voluto portare "l'acqua co' le recchie" agli USA, mettendoci pure, oltre alla scorzetta de limone, la faccia (loro) e soprattutto il culo (nostro) nel tentare di annettere l'Ucraina alla NATO ma l'operazione sta miseramente fallendo (o meglio è già fallita ma tra un po' ce lo racconteranno, a modo loro). Sulla pelle degli ucraini e non solo, sappiamo benissimo che convergevano (e convergono) interessi lobbistici USA e particolari UE ma il senso del fallimento è dato dal fatto che l'esercito regolare, mandato dal nazistone Turchinov a sedare le rivolte filorusse nell'est del Paese, ha in più occasioni solidarizzato con la popolazione russofona e russa, addirittura cambiando casacca e issando bandiere russe se non addirittura rosse, in moltissimi casi. Mettiamoci pure che - anche tra il popolo ucraino delle regioni "occidentali" - si comincia a spargere la voce che l'elegante cravattino blu-stellato non è affatto di seta ma della peggiore e odiosa canapa flanellata della troika, e che l'euro e la UE somigliano molto di più ad un bel cappio al collo. Tra gli oligarchi della UE, il "partito unanime delle "sanzioni", sta decisamente scricchiolando sotto i colpi dei conti che non tornano (povca tvoia direbbe qualcuno che tra un po' saremo costretti a rimpiangere come Pomicino). Non tornano i conti, soprattutto rispetto alle risposte valutarie messe in campo da Putin e ad alcune misure di difesa finanziaria sventolate minacciosamente dalla Russia con partner internazionali (Cina e Iran su tutti) che oltre a "dribblare" le sanzioni più o meno formali, ha anche contrattaccato con politiche di aggressione societaria in Europa e anche nel nostro Belpaese, basti vedere per esempio la recentissima acquisizione ed il controllo, da parte del colosso Rosneft del 26% di Pirelli. Per finire poi, col fabbisogno energetico di alcune regioni (tra cui ancora la nostra bella penisola che del suo sole non se ne fa un cazzo) che per l'approvvigionamento dipendono di fatto dal colosso ex-sovietico. Diciamo che in tempi di crisi, il "Nobel a priori”  SbarakeSmamma, poteva spendere meglio i soldi degli americani, magari realizzando quel famoso piano sanitario su cui oramai le barzellette hanno superato in numero e risate quelle della premiata ditta Bush & Cheney sulle armi chimiche di Saddam, piuttosto che tentare di sacrificare l'Ucraina scagliandola (con effetto boomerang del resto) contro il “tradizionale antagonista” dei bei tempi andati (ma che all'occorrenza fanno sempre bene a tornare), quando nei miracolosi anni '80 ci si specchiava in capolavori come "Rocky IV" o “Miracolo sul Ghiaccio”. Il presidente americano che meno ha fatto - rispetto alle aspettative create in tutto il mondo e anche in campagna elettorale - nella storia degli USA, ha preferito ancora una volta cedere ai ricatti delle lobbies su cui poggia la sua faccia migliore, regalando milioni ad un gruppo di nazistelli isterici e a qualche nobile ucraino decaduto, onde alla fine (come oramai ovviamente accadrà) abbandonare questo regime di cartapesta al proprio decadente destino, come accade puntualmente in quelle lande dove Unkle Sam tenta maldestramente di esportare democrazie al ketchup. Il tutto ricordiamo come cosa più importante, a spese nè di Putin, nè di Obama e nè della culona di balsa. Tanto meno a spese dei golpisti, dittatori di banane o Turchinov di turno ma al solito, sul groppone in primis del Popolo Ucraino e a seguire dei Popoli coinvolti in questa guerra fredda sì, ma di frigorifero un po' stantìo.

martedì 15 aprile 2014

I COLORI DI METROPOLIS

All'ombra di prudenti vorrei ma non rosso, disinvolti e predestinati traffichini saltano da corruttori a corrotti mentre tenaci e colorite (s)barbies da guardia anti-parrucconi, agitano quote rosa, verdi di bile e blu di sangue sotto il naso di vecchi professoroni guastafeste e rompicoglioni. Intanto dinamiche e sbrigative “intelligenze” digitali imperversano la rete e si affannano a massaggiare il falso pragmatismo della menzogna, accarezzando il cinismo ottuso di una spudorata oligarchia, una banda di proci ormai fuori da tutto, anche dal proprio controllo. No, non è Metropolis, quello è un dipinto di George Grosz, del 1917. 
(Olio su tavola 68 x 47.6 cm)