Per entrare nel merito della faccenda occorre - come premessa - ripercorrere brevemente la storia recente dell’Argentina. Circa quindici anni fa, guidato dal FMI, il governo decide di ancorare la valuta nazionale al dollaro per affrontare l’inflazione e per il Paese sudamericano fu l’inizio della rovina. Il cambio venne fissato 1 ad 1 ovvero ogni dollaro USA veniva scambiato per un peso argentino e la banca centrale argentina fu costretta a mantenere nelle proprie casse riserve in dollari pari al valore della quantità di pesos in circolazione nel Paese. Il sistema riuscì a contenere l'inflazione della moneta ma il nuovo cambio fisso rese talmente convenienti le importazioni che la produzione subì un perentorio arresto. L’Argentina andò incontro ad una vera e propria de-industrializzazione con conseguente drammatica disoccupazione. Nel frattempo il debito pubblico continuava ad aumentare e peggio ancora, gli interessi passivi erano di gran lunga superiori a ciò che il Paese non riusciva più a produrre. Cosa faceva il governo per farvi fronte? Faceva quello che i dettami liberisti prevedono in questi casi: privatizzava. Privatizzava, vendeva, svendeva e con il flusso di denaro dall'estero ripagava prestiti e debito. Finché non ci fu più niente da vendere. FTAA, acronimo di Free trade areas of America, si chiamava il progetto. ALCA in spagnolo. Era finanziato dal governo Bush e mirava ad abbattere ogni barriera fra stati delle americhe, con l'evidente scopo di favorire i commerci Usa e fare dell'America latina una fabbrica a basso costo. Fu allora che, con la produzione e la crescita ferme, scoppiò la crisi più nera. Il PIL diminuì del 4% e il paese entrò in recessione. Per arginare il fenomeno della corsa al prelevamento agli sportelli il governo decise di applicare una serie di misure che congelavano i conti bancari e rendevano possibili solo piccoli prelievi. Questa ed altre misure ottennero l’effetto di esasperare i cittadini che scesero in piazza per protesta. La polizia reagiva spesso con violenza e l'escalation culminò sul finire del 2001, quando il presidente dichiarò lo stato d'emergenza. Il 20 ed il 21 dicembre in Palza de Mayo – la piazza principale di Buenos Aires – gli scontri furono violentissimi. La polizia sparò sulla folla uccidendo circa quaranta persone ma la protesta non si fermò. E’ proprio allora, col Paese scosso ed il presidente in fuga che si iniziano a porre le basi per una nuova Argentina e, partendo dalla prima decisione inevitabile: il default, il nuovo governo ad interim dichiara l'insolvenza su circa l'80 per cento del debito sovrano argentino, per un totale di 132 miliardi di dollari. Subito dopo verrà abolita anche la convertibilità a cambio fisso con il dollaro ed il peso andrà incontro ad una forte svalutazione. Inizialmente gli effetti furono devastanti con il 60% dei cittadini finiti al di sotto della soglia di povertà nel 2002. Fu un passaggio doloroso ma inevitabile ed è da quel punto in poi che l'Argentina trovò la forza e prese la spinta per ripartire. Alla guida del paese fu eletto Kirchner, un ex giovane peonista, organizzazione studentesca perseguitata e repressa nel sangue dalla dittatura militare del 1976. Durante il suo governo, e quello successivo della moglie Cristina Fernández, l'Argentina mise in atto politiche economiche di stampo nettamente diverso da quelle degli ultimi anni che sotto l'egira della finanza globale – l'FMI su tutti - avevano contribuito a smantellare lo stato sociale e generato la crisi. La moneta argentina, debole per via dell’abolizione della convertibilità ma sull'onda della ricrescita, favoriva la ripresa delle esportazioni ed il governo non esitava a stampare moneta per finanziare ed investire sulla ripresa economica, riattivando i circuiti di previdenza sociale devastati da anni di neo-liberismo. Molte funzioni e servizi furono re-pubblicizzati: dall'acqua, all'elettricità, all'istruzione e la sanità. Nel 2006, un anno dopo l’accordo con il Brasile di Lula, determinante per il fallimento del piano ALCA, l’Argentina che dal 2004 era tornata a crescere a tassi record del 10% annui, finì di onorare il proprio prestito con lo strozzino FMI e decise di non contrarne più di nuovi. Oggi l'Argentina non è il paradiso. E’ un paese sovrano, che cresce con tassi fra i più elevati al mondo e lo fa aumentando le garanzie sociali, i servizi statali, i diritti dei propri cittadini. Sono riconosciuti i matrimoni omosessuali, la libertà d'informazione è garantita attraverso apposite leggi che impediscono i monopoli ed il rispetto dei diritti umani è ritenuto uno dei principi fondamentali della Repubblica. Alcune volte (anzi direi spesso), ho letto e ascoltato i politici nostrani, gli stessi che ci hanno portato allo stato attuale, anche e soprattutto i "tecnici", così come i recentissimi rottamatori, fenomeni delle larghe intese, raccontare che se non staremo attenti a tirare per bene la cinghia nei prossimi anni (meno pubblico, meno servizi, etc.) "rischiamo" di "finire" come l'Argentina. Le cose strane sono due: la prima è che l'Argentina sta meglio di noi (ecco il motivo della premessa), dopo aver fatto esattamente il contrario di quello che lorsignori ci propongono qui (anche se dire "impongono" sarebbe più giusto); la seconda cosa strana è che se volessero veramente spaventarci, dovrebbero dire invece: "finiremo come il Messico", sì, proprio quel Messico che invece (purtroppo) dopo il brutale assassinio del candidato presidenziale Luis Donaldo Colosio, ucciso 20 anni fa durante la sua campagna elettorale, ha imboccato deciso la strada opposta a quella dell’Argentina ovvero:: liberismo sfrenato, de-regolamentazione a favore ovviamente dei forti poteri economici, legati a doppio filo con la criminalità organizzata e i narcotrafficanti, agganciando soprattutto la propria moneta al dollaro USA. Il risultato? Una corruzione che ha contagiato profondamente tutte le aree, da quella legislativa alle forze dell’ordine e l’esercito, per non parlare degli appalti pubblici e la svendita di tutto il patrimonio. A me ricorda qualcosa ma non aggiungo nulla. Vi invito soltanto a fare delle personali ricerche e scoprirete come si vive oggi in Argentina e come invece in Messico si muore, 20.000 volte l'anno solo di violenza. Non è casuale che abbia voluto prendere come esempi questi due grandi Paesi del centro e del sud America, paragonandoli all’area mediterranea della UE, così come non è casuale che le due situazioni, quella tra USA e gli altri Stati del continente americano e quella della Germania nella UE con i Paesi mediterranei si assomiglino. Dove, da una parte la necessità dell’economia forte di espandersi per mantenere alti i profitti finanziari “dopando” le economie limitrofe del sud e “drogando” la propria moneta, attraverso la convertibilità alla pari delle monete ha come strumento l’ALCA, da noi invece, in Europa si chiama EURO. Esiste però, come abbiamo visto in Argentina, un modo per uscire dalla crisi senza passare per la troika, l'austerità e gli interessi dei "pochi", piuttosto attraverso uno Stato forte che garantisca benessere non a 100 ma a milioni di famiglie e cittadini, stampi la propria moneta nazionale per finanziare servizi e ricerca che sono fondamentali per una ripresa economica che sia strutturale, per distribuire lavoro e benessere. Certo, non in questa Europa, in cui l'emissione di denaro è affidata ad un manipolo di banchieri, molti dei quali addirittura capi in qualche caso, generalmente membri di governi e parlamenti nazionali, cui interessano i tassi di cambio dell'euro con il dollaro e lo spread, non certo il benessere degli cittadini. La BCE è l'organo decisionale non eletto, in un’Europa senza uno straccio di democrazia e senza alcuna politica sociale condivisa.
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domenica 4 maggio 2014
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