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sabato 7 giugno 2014

Evviva, brindiamo! Abbiamo perso!

...e nemmeno dignitosamente. La faccia e le elezioni. Evviva i grandi propositi di unità della sinistra espressi dalla Lista e che continuano ad affascinare e stuzzicare le fantasie di qualcuno che vorrebbe addirittura farne delle case. C'eravamo tanto Amato ma.. tanto per cominciare, alla fine girano due petizioni: una chiede che la “compagna” Spinelli rinunci al seggio come aveva solennemente promesso, l'altra chiede di mandarla a Strasburgo, forse perché evidentemente la sinistra non può fare a meno del suo liberalismo chic o forse perché il “tanto peggio, tanto meglio” inizia a strutturarsi seriamente anche dalle nostre parti. A me interessa poco, avevo già molti dubbi sulla estemporanea e verticistica natura della Lista, immaginando anche stavolta che questa litanìa sull'unità delle sinistre avrebbe finito per unire i vertici dividendo la base. Stessa pratica, stesse dinamiche a tutti i livelli. Non è colpa dell'astensionismo o delle divisioni, mali che permangono a causa dell'ambizione delle residuali élite di questa specie di sinistra a tenersi aggrappate a poltrone e potere, piccoli o grandi che siano, se il raggiungimento striminzito del quorum d'ingresso rappresenta, al di là dei festeggiamenti e dei manifesti entusiasmi, un ulteriore flessione elettorale del 35% rispetto a cinque anni fa. Colpa del dissolversi di quella buona pratica che si chiama “elaborazione politica”, sormontata ormai da una melassa demagogica che ha fatto (e continua a far) filtrare soltanto discorsi generici e slogan tali così scontati, da essere adottati in varia misura ovvio, da tutte le forze in competizione. Per Cinque Stelle e Lega, per Fratelli d'Italia, il PD e Forza Italia, fino addirittura a Scelta Civica, il coro è pressoché unanime: l'austerity è diventato il nemico comune. Così la Lista è finita nel buio dell'anonimato politico, prima che identitario. Più che dell'ennesimo errore, il risultato elettorale, tanto più marginale quanto più sonoramente festeggiato, è sintomo dello stato confusionale in cui versa la Sinistra tutta ma peggio ancora quella che molti, in preda ad un delirio, più che ad un desiderio di rappresentanza, ostinatamente continuano a chiamare sinistra radicale. Forse che l'aggettivo “radicale” è di pannelliana memoria, deriva dal ruolo ormai consolidato della base di raccogliere firme per qualsiasi cosa, onde poi scomparire nel limbo dei referendum e delle liste più o meno civiche, a-partitiche, post-ideologiche, rosa, fucsia, violette, etc. E' l'effetto aspirina, la base di Rifondazione che si fa un gran culo per dare il principio attivo al bicchier d'acqua il quale, a giochi fatti, ad effervescenza elettorale conclusa, torna ad esere trasparente ed incolore. Il desiderio di rappresentanza esiste eccome certo. Diritto di cittadinanza. Perché allora allinearsi con quella retorica che – ad uso e consumo capitalista e liberista – maldestramente lo taccia di nazionalismo e populismo? Perché accodarsi al coro di chi ne svaluta la portata politica? Merita maggior gloria forse questa forma di subdolo filo-europeismo, camuffato per i palati più esigenti da internazionalismo, funzionale solo al capitale finanziario o nel migliore dei casi ad una forma di imperialismo europeo, sempre e comunque subordinato a quello USA? Questo appiattimento, non è reso evidente per esempio, dalla posizione supina ed embedded, della stampa e delle forze politiche tutte sull'Ucraina, la Siria, la Libia, la Palestina, il Venezuela, la Nord Corea, l'Iran? Ad un occhio critico ed intelligente, con una una minima conoscenza del funzionamento delle istituzioni continentali ed i meccanismi della Ue, dovrebbe infine esser chiaro, come allo stato attuale, qualunque opportunità di cambiamento può immaginarsi soltanto attraverso gli Stati nazionali e non certo all'interno delle stesse istituzioni europee che di fatto negano alla radice qualsiasi possibilità di espressione della volontà popolare. Figuriamoci se, con le differenze preesistenti tra i popoli europei, più quelle che le politiche economiche hanno acuito (alla faccia dell'europeismo di facciata), possiamo verosimilmente aspettarci una unità delle classi subalterne attorno ad un progetto politico comune. Chiediamoci infatti perché, qualunque sia il tono, lievemente critico o benevolo verso tali istituzioni, che sia detto il bene o il male, secondo i media istituzionali e le principali testate giornalistiche italiane e continentali, sono sempre le istituzioni europee a negare o concedere cambiamenti di rotta, a consolidare e dettare le riforme istituzionali, a rilanciare o a frenare le politiche economiche. La Commissione Europea (e non il Parlamento eletto) con l'imposizione ai Popoli (non) sovrani di accordi tra Stati membri, presentati con grande enfasi europeista, pompose e costosissime strette di mano tra primi ministri non eletti, avvita e strangola le economie locali in una crisi irreversibile con disoccupazione ai massimi storici e concessioni funzionali sempre agli stessi beneficiari: i grandi investitori finanziari privati. La BCE con le manovre farsa di Draghi, fa il gioco della propaganda EUROpeista, sia in Italia che in Germania. Da noi dipinto come superMario (originali sic!), il baluardo italiano nel cuore del territorio della cattiva e nemica BundesBank e ai tedeschi, raccontato come il guastafeste mangia-spaghetti di Francoforte, la piccola e rognosa piattola italiana tra i coglioni, freno alla totale egemonia continentale germanica, capro espiatorio per le politiche economiche tedesche al suo interno (vedi mini-job e politiche sulla immigrazione). SuperMario quindi, è funzionale ad entrambi i (finti) contendenti, sia sul piano nazional-campanilista (Italia vs Germania) sia su quello pseudo-politico bipartisan/bipolarista (PPE/PSE). Le sue operazioni infatti, sono annunciate ogni volta da noi, solidali e devoti paesani, come “storiche” e “salvifiche” ma Draghi, essendo come tutti i suoi onorevoli colleghi, prima banchiere e poi (forse) italiano, le misure di cui sopra, come l'ennesima recente riduzione del tasso d'interesse, le vara per permettere alle banche di usufruire dell'abbassamento dei tassi e gettarsi a capofitto su redditizie speculazioni e scommettere sul debito degli Stati come il nostro, altro che iniezioni di liquidità, come una banca centrale dovrebbe fare. Mai e poi mai, le seppur fittizie luci in fondo al tunnel, vengono attribuite ad un governo nazionale. Le uniche constatazioni che la stampa e i media riportano sono i commenti su chi e come fa bene o male i compiti. La confusione regna sovrana e on si va lontano in questo modo. Evitando, di mettere in crisi la governance italiana che si adagia completamente sui poteri forti continentali visibili e soprattutto invisibili, viene scambiata per politically correct e tutti in coro a gridare allo scandalo mediatico guardando il dito e mai la luna capitalista. Evidente questo, anche dallo scandalo con cui è stato accolto il dialogo tra Grillo e Farage. L'unica ragione vera per cui la sinistra dovrebbe guardare con estrema diffidenza a Farage e all'accordo eventuale con i grillini consiste nel fatto che il leader inglese è un convinto ultraliberista, fautore delle regole universali del profitto e del mercato. Ma questa è politica e di politica non si deve parlare. La retorica gestisce le tesi e la democrazia millantata è il cavallo di troia della dittatura liberista.

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