...e
nemmeno dignitosamente. La faccia e le elezioni. Evviva i grandi
propositi di unità della sinistra espressi dalla Lista e che
continuano ad affascinare e stuzzicare le fantasie di qualcuno che
vorrebbe addirittura farne delle case. C'eravamo tanto Amato ma..
tanto per cominciare, alla fine girano due petizioni: una chiede che
la “compagna”
Spinelli rinunci al seggio come aveva solennemente promesso, l'altra
chiede di mandarla a Strasburgo, forse perché evidentemente la
sinistra non può fare a meno del suo liberalismo chic o forse perché
il “tanto
peggio, tanto meglio”
inizia a strutturarsi seriamente anche dalle nostre parti. A me
interessa poco, avevo già molti dubbi sulla estemporanea e
verticistica natura della Lista, immaginando anche stavolta che
questa litanìa sull'unità delle sinistre avrebbe finito per unire i
vertici dividendo la base. Stessa pratica, stesse dinamiche a tutti i
livelli. Non è colpa dell'astensionismo o delle divisioni, mali che
permangono a causa dell'ambizione delle residuali élite
di questa specie di sinistra a tenersi aggrappate a poltrone e
potere, piccoli o grandi che siano, se il raggiungimento striminzito
del quorum d'ingresso rappresenta, al di là dei festeggiamenti e dei
manifesti entusiasmi, un ulteriore flessione elettorale del 35%
rispetto a cinque anni fa. Colpa del dissolversi di quella buona
pratica che si chiama “elaborazione politica”, sormontata ormai
da una melassa demagogica che ha fatto (e
continua a far)
filtrare soltanto discorsi generici e slogan tali così scontati, da
essere adottati in varia misura ovvio, da tutte le forze in
competizione. Per Cinque Stelle e Lega, per Fratelli d'Italia, il PD
e Forza Italia, fino addirittura a Scelta Civica, il coro è
pressoché unanime: l'austerity è diventato il nemico comune. Così
la Lista è finita nel buio dell'anonimato politico, prima che
identitario. Più che dell'ennesimo errore, il risultato elettorale,
tanto più marginale quanto più sonoramente festeggiato, è sintomo
dello stato confusionale in cui versa la Sinistra tutta ma peggio
ancora quella che molti, in preda ad un delirio, più che ad un
desiderio di rappresentanza, ostinatamente continuano a chiamare
sinistra radicale. Forse che l'aggettivo “radicale” è di
pannelliana memoria, deriva dal ruolo ormai consolidato della base di
raccogliere firme per qualsiasi cosa, onde poi scomparire nel limbo
dei referendum e delle liste più o meno civiche, a-partitiche,
post-ideologiche, rosa, fucsia, violette, etc. E' l'effetto aspirina,
la base di Rifondazione che si fa un gran culo per dare il principio
attivo al bicchier d'acqua il quale, a giochi fatti, ad effervescenza
elettorale conclusa, torna ad esere trasparente ed incolore. Il
desiderio di rappresentanza esiste eccome certo. Diritto di
cittadinanza. Perché allora allinearsi con quella retorica che –
ad uso e consumo capitalista e liberista – maldestramente lo taccia
di nazionalismo e populismo? Perché accodarsi al coro di chi ne
svaluta la portata politica? Merita maggior gloria forse questa forma
di subdolo filo-europeismo, camuffato per i palati più esigenti da
internazionalismo, funzionale solo al capitale finanziario o nel
migliore dei casi ad una forma di imperialismo europeo, sempre e
comunque subordinato a quello USA? Questo appiattimento, non è reso
evidente per esempio, dalla posizione supina ed embedded,
della stampa e delle forze politiche tutte sull'Ucraina, la Siria, la
Libia, la Palestina, il Venezuela, la Nord Corea, l'Iran? Ad un
occhio critico ed intelligente, con una una minima conoscenza del
funzionamento delle istituzioni continentali ed i meccanismi della
Ue, dovrebbe infine esser chiaro, come allo stato attuale, qualunque
opportunità di cambiamento può immaginarsi soltanto attraverso gli
Stati nazionali e non certo all'interno delle stesse istituzioni
europee che di fatto negano alla radice qualsiasi possibilità di
espressione della volontà popolare. Figuriamoci se, con le
differenze preesistenti tra i popoli europei, più quelle che le
politiche economiche hanno acuito (alla faccia dell'europeismo di
facciata), possiamo verosimilmente aspettarci una unità delle classi
subalterne attorno ad un progetto politico comune. Chiediamoci
infatti perché, qualunque sia il tono, lievemente critico o benevolo
verso tali istituzioni, che sia detto il bene o il male, secondo i
media istituzionali e le principali testate giornalistiche italiane e
continentali, sono sempre le istituzioni europee a negare o concedere
cambiamenti di rotta, a consolidare e dettare le riforme
istituzionali, a rilanciare o a frenare le politiche economiche. La
Commissione Europea (e
non il Parlamento eletto) con
l'imposizione ai Popoli (non)
sovrani di accordi tra Stati membri, presentati con grande enfasi
europeista, pompose e costosissime strette di mano tra primi ministri
non eletti, avvita e strangola le economie locali in una crisi
irreversibile con disoccupazione ai massimi storici e concessioni
funzionali sempre agli stessi beneficiari: i grandi investitori
finanziari privati. La BCE con le manovre farsa di Draghi, fa il
gioco della propaganda EUROpeista,
sia in Italia che in Germania. Da noi dipinto come superMario
(originali
sic!),
il baluardo italiano nel cuore del territorio della cattiva e nemica
BundesBank e ai tedeschi, raccontato come il guastafeste
mangia-spaghetti di Francoforte, la piccola e rognosa piattola
italiana tra i coglioni, freno alla totale egemonia continentale
germanica, capro espiatorio per le politiche economiche tedesche al
suo interno (vedi mini-job e politiche sulla immigrazione).
SuperMario quindi, è funzionale ad entrambi i (finti)
contendenti, sia sul piano nazional-campanilista
(Italia vs Germania)
sia su quello pseudo-politico bipartisan/bipolarista (PPE/PSE).
Le sue operazioni infatti, sono annunciate ogni volta da noi,
solidali e devoti paesani, come “storiche” e “salvifiche” ma
Draghi, essendo come tutti i suoi onorevoli colleghi, prima banchiere
e poi (forse) italiano, le misure di cui sopra, come l'ennesima
recente riduzione del tasso d'interesse, le vara per permettere alle
banche di usufruire dell'abbassamento dei tassi e gettarsi a
capofitto su redditizie speculazioni e scommettere sul debito degli
Stati come il nostro, altro che iniezioni di liquidità, come una
banca centrale dovrebbe fare. Mai e poi mai, le seppur fittizie luci
in fondo al tunnel, vengono attribuite ad un governo nazionale. Le
uniche constatazioni che la stampa e i media riportano sono i
commenti su chi e come fa bene o male i compiti. La confusione regna
sovrana e on si va lontano in questo modo. Evitando, di mettere in
crisi la governance
italiana che si adagia completamente sui poteri forti continentali
visibili e soprattutto invisibili, viene scambiata per politically
correct e tutti in coro a gridare allo scandalo mediatico guardando
il dito e mai la luna capitalista. Evidente questo, anche dallo
scandalo con cui è stato accolto il dialogo tra Grillo e Farage.
L'unica ragione vera per cui la sinistra dovrebbe guardare con
estrema diffidenza a Farage e all'accordo eventuale con i grillini
consiste nel fatto che il leader inglese è un convinto
ultraliberista, fautore delle regole universali del profitto e del
mercato. Ma questa è politica e di politica non si deve parlare. La
retorica gestisce le tesi e la democrazia millantata è il cavallo di
troia della dittatura liberista.
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sabato 7 giugno 2014
Evviva, brindiamo! Abbiamo perso!
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