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sabato 14 novembre 2015

Non ho paura dell’amore ma al contempo odio

Odio il fanatismo. Soprattutto quello pilotato e foraggiato, i suoi acronimi vuoti ma altisonanti, amplificati dai media e dai ministeri della guerra. Quei nemici fatti in casa come le tagliatelle, intangibili, sovente immaginari. Icone sacrificate ad orologeria sull’altare del consenso, al posto delle vere bande, dei loro capi in carne ed ossa e dei loro finanziatori occulti, spesso entrambi con passaporti USA e UE, altro che barconi e clandestini. 
Odio l’antifanatismo, altrettanto ortodosso ed ottuso, quello di moda, perbenista e di circostanza come quello di Fazio e Saviano, o quello intellettuale ed autorevole che si stordisce del privilegio di ascoltare musica classica con “Aural Pleasure” di Hart Audio D&W, agitando Bach come fosse una spada crociata  e feroce critico della barbarie altrui, resta sordo al boato delle nostre bombe intelligenti. Poi c’è l’antifanatismo altolocato delle Fallaci e dei Ferretti (una new entry) che discute fragorosamente del nulla, facendo finta di credere che a muovere la violenza sia l’esaltatazione di una imminente invasione barbarica, in nome di una dottrina religiosa, combinata ad antiche rivalse e frustrazioni di carattere culturale. Per non parlare infine dell’antifanatismo nazional-dozzinale, quello delle fotine con i nastrini sulle torri o sulle bandierine ormai (vedi foto) prodotte in serie come fossero dei gadget, a voler dire: “sì, l’ho letto anch’io, che disgrazia terribile”. STOP. Come se le disgrazie (o le crisi) non avessero una matrice o quantomeno una storia da raccontare e soprattutto da conoscere, magari per evitarne di nuove altrettanto terribili quanto “sorprendenti”. 
Odio il terrorismo astratto, strumentalmente bollato come intangibile. Sostenuto o perseguito ad intermittenza dai suoi creatori, burattinai o ipocriti detrattori all’occorrenza, i quali ci fanno sbavare addosso da pseudo-politici - quelli si intangibili - i loro finti necrologi quando la loro creatura mostruosa si trasferisce da est ad ovest seminando morte e sdegno, senza mai sfiorare le loro comode poltrone di amministratori e strateghi del cazzo.
Odio l’antiterrorismo che si assume il dovere dell’esclusione di alcuni cittadini secondo ideali, origine, religione, sesso e colore e persuade comunque gli inclusi dell’ineluttabilità della rinuncia alla libertà, ai diritti, alla politica rappresentativa e alle garanzie democratiche, in nome di una emergenza senza fine.
Odio la democrazia. Quella da esportazione che ha iniettato un veleno mortale. Quello dei conflitti cosiddetti umanitari, approvati prima, dopo o per niente (tanto chi se ne frega) dall’Onu - talmente umanitari da provocare fame, dissipazione di risorse utili per eserciti inutili, morte, distruzione e repressione. Ma anche quelle guerre cosiddette difensive. Magari a difesa di beni e privilegi coloniali, giardini dell’eden gonfiati con l’acqua sottratta ai vicini dalle vite schiacciate dietro un muro illegale. Un veleno che una volta entrato in circolo, si nutre della disillusione e del cinismo di chi si volta dall’altra parte, sperando di non essere colpito.
Odio la guerra. Quella che mi costringe in prima linea ad un concerto metal, al bancone di un bar e portare a casa la pelle per coincidenza fatale perchè - mi dicono - siamo in guerra. Guerra che non ho voluto né deciso. Intanto meno fortunati di me, gente comune, lavoratrici e lavoratori, giovani precari e famiglie intere pagano il conto. No, non quei 20 euro del ristorantino etnico dove hanno sottratto un paio d’ore del venerdì sera al pensiero della bolletta o dell’affitto rimanendoci secchi. Questi disgraziati come noi, hanno pagato il conto della tracotante inconsistenza di leader, manager e generali ottusi. Non eletti ma protetti.  Così come per gli stessi motivi, pagano con la vita intere popolazioni innocenti che subiscono continui bombardamenti.
Odio la pace, quella sociale invocata dalla voce registrata e diffusa da ologrammi 3D con sembianze di papa buoni e presidenti di questa Res Pubica mentre audaci nipotini fichetti e veline - eletti/e nei resti del partito fondato da Gramsci e Bordiga - mi dichiarano guerra. Guerra al lavoro, alla giustizia, ai diritti, alla prevenzione e alle cure, alla conoscenza, alla libertà, ai beni pubblici, al territorio. Alla stessa sovranità dello Stato laico sulla chiesa e alla sovranità dello Stato sulla finanza.
Odio la diseguaglianza, carburante che alimenta il motore della guerra infinita. Irresponsabile fonte di opulenza per pochi e perenne iattura per gli altri. Una sciagura inflitta per legge dal più forte, con l’arma del rifiuto e dell’esclusione che incrementa marginalità, risentimento e frustrazione. Il Mondo come una macabra cartina geografica con zone vivaio della miseria, dello sfruttamento e della paura, presso il quale piccoli kamikaze crescono, farciti del tritolo gentilmente offerto dai soliti noti.
Odio l’uguaglianza che passa attraverso il preteso e concesso diritto all’ultimissimo modello di smartphone e ‘sti cazzi, se bisognerà depredare di ricchezze e risorse altri popoli, quelli che beati loro, vivono di pescato del giorno e latte di capra e certe cose come il silicio non le sanno usare. Moro, te lo dico io dove si trova il silicio, fallo estrarre ai tuoi agili figlioletti per assicurarmi il meritato benessere, io che so invece valorizzarle e consumarle come si deve quelle risorse. E le sfrutto, scrivendo queste ed altre riflessioni, sempre che non tocchi a me un bel giorno, beccarmi un bel colpo vicino ad un kamikaze e restarci stecchito col cellulare in mano, com’è normale per la fanteria in prima fila come noi. Magari ironia della sorte, con un’arma made in italy che abbia compiuto il giro (quasi) completo del celeberrimo cetriolo, prima di tornare ad infilarsi nel mio culo plebeo. 

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